Quando Putin invase l’Ucraina ebbi subito la sensazione di un atto mafioso.
Così, discorrendo con persone che cercavano di giustificare un evento che per me era unicamente da condannare senza se e senza ma, opposi – ingenuamente certo – che nulla poteva giustificare la violenza. Mi azzardai pure nell’esempio del mafioso che, pretendendo un terreno, usasse violenza contro il proprietario, adducendo torti subiti e mancanza di rispetto, per legittimare la sua prepotenza. Un comportamento da debole, come sempre è l’atto dei prepotenti e dei violenti: perché si è così poco forti da non riuscire a raggiungere un obiettivo con mezzi civili e normali; così vili da non riuscire ad accettare un rifiuto o una ragione ed una posizione diversa dalla propria. Per di più con la supponenza, che è propria dei cretini, di essere convinti di essere sempre dalla parte giusta e di dovere correggere ed educare il resto del mondo.
Insomma: non conoscere il dubbio. Il dubbio che non soltanto è il sentimento più utile e necessario per lo sviluppo (Galileo ha dubitato verità secolari ed ha creato la scienza; ogni invenzione deriva dal dubbio che si possa far meglio); ma che è anche la base del vivere sociale e democratico (il diritto di dubitare del governo).
Ma che, soprattutto, è la base della Giustizia. Quella con la “G” maiuscola, che dubita, che conosce ed applica la massima latina “in dubio pro reo”, con la quale si esprime sinteticamente il principio giuridico (ignorato dalla quasi totalità dei media) della prevalenza dell’interesse alla tutela dell’innocente, sull’interesse alla condanna del probabile reo. Non certo alla base della giustizia (senza “G” maiuscola, quella controllata dal potere ed a questi asservita) che aveva condannato Navalny al carcere, soltanto per avere espresso opinioni contrarie al governo russo e per essersi candidato come alternativa a Putin. Considerazione che mi porta a ribadire la centralità e fondamentalità del giudice: sul quale si fonda lo Stato di diritto, a condizione che il giudice sia imparziale, che tra Stato e cittadino non faccia prevalere il primo; che ritenga intangibili ed inviolabili i diritti dell’Uomo e del cittadino.
La giustificazione della “sicurezza” (nazionale, nel caso di Navalny) è solamente un alibi, una scusa per esercitare attraverso la giustizia un controllo.
Un pericolo, confesso, che avverto anche per la nostra civiltà occidentale: nella quale, in nome della sicurezza, abbiamo visto restringere sempre di più i nostri margini di libertà individuale, in particolare modo dal settembre 2001 in poi; specialmente dal volontario sottostare al controllo elettronico che deriva automaticamente dal semplice uso degli strumenti elettronici che abbiamo sempre con noi: personalmente smartphone, iPad, note-book con wi-fi portatile, collegamenti vari con casa e studio. Annoto ciò perché spero che mai si abbassi la guardia. Un Putin è sempre in agguato ovunque ed ha sempre vesti diversi, sapendo ben dissimulare e nascondere la propria debolezza, che è il motore della prepotente violenza dittatoriale. Se ripenso alla libertà di cui ho goduto negli anni giovanili mi sembra impossibile il mio stato di oggi.
L’epilogo russo mi mette tristezza e preoccupazione. Il mio primo contatto adolescenziale con la politica fu molto positivo e speranzoso. Il trio Papa Giovanni-Kennedy-Krusciov faceva molto credere in un futuro roseo, con un Papa che predicava la pace, JFK che parlava di libertà e Krusciov col suo rivoluzionario «più burro e meno cannoni», per cercare di migliorare la vita del suo popolo. La caduta del muro di Berlino, dopo le aperture democratiche di Gorbaciov, faceva intravedere uno sviluppo diverso.
Poi dal 7 maggio 2000 Vladimir Vladimirovič Putin, che nel 2025 festeggerà le nozze d’argento col potere, ma così debole da doverlo mantenere con la forza, non potendo contare sul consenso: perché neppure lui conosce quanti Navalny siano nati in questo millennio in Russia.
Così che non resta altro che la Strage degli Innocenti…