Le banche spesso chiudono unilateralmente i conti correnti dei propri clienti, generalmente senza neanche fornir loro una motivazione specifica. E’ il cosiddetto Debanking. Una pratica che limita (e a volte azzera) la capacità dei risparmiatori di accedere a servizi tutelati innanzitutto dal primo comma dell’articolo 47 della Costituzione: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.”
La normativa italiana e le circolari della Banca d’Italia, almeno in apparenza, vorrebbero bilanciare i diritti dei consumatori ed esigenze delle banche; l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) non pare si sia posto il problema.
La disposizione costituzionale citata si scontra con l’assetto proprietario del capitale di Bankitalia, detenuto dagli istituti di credito su cui l’Istituto di Via Nazionale deve vigilare. Un conflitto di interessi (art. 6 bis della l. 241 del 1990): il capitale della controllante è posseduto dalle controllate.
In attesa di un intervento del Parlamento o del Governo per risolvere questo conflitto, potrebbe però già occuparsi della questione l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che non ha solo il compito di difendere i consumatori da pratiche commerciali scorrette come quelle di Debanking, ma anche quello di scovare e reprimere eventuali conflitti d’interesse del tipo richiamato. Non risulta però che tale Autorità si sia finora voluta occupare della materia bancaria sotto il richiamato profilo.
Con queste premesse vediamo di individuare i principali punti chiave su cui si impernia la disciplina del Debanking, nonché i possibili rimedi previsti per i clienti:
1. Trasparenza e Motivazione: Le banche sono tenute a operare con trasparenza. Questo significa che, in caso di chiusura di un conto corrente, la banca deve subito informare il cliente della decisione e, idealmente, fornire le motivazioni che hanno portato alle relative determinazioni, sebbene non vi sia un obbligo specifico di fornire dettagliate giustificazioni in base alla normativa finora vigente, alla cui predisposizione da parte di Bankitalia, ricorrendo allo strumento delle “Istruzioni”, potrebbe non essere estraneo il conflitto di interessi di cui si è detto all’inizio.
2. Preavviso: Secondo detta normativa però, le banche dovrebbero almeno fornire un adeguato preavviso prima di procedere con la chiusura di ciascun conto corrente e il temine di preavviso dovrebbe essere indicato nel relativo contratto di conto corrente; in assenza di una simile indicazione dovrebbero valere comunque gli usi.
3. Reclami: difficile negare che i clienti abbiano il diritto di presentare reclamo alla banca, laddove ritengano che la chiusura del conto sia ingiustificata e la banca sarà allora tenuta a gestire il reclamo secondo le procedure indicate nelle richiamate Istruzioni della Vigilanza; ma anche sulla stesura di quelle Istruzioni possono pesare le conseguenze del conflitto di interessi cui si è in precedenza accennato.
4. Arbitrato: qualora il reclamo presentato non dovesse esitare in una soluzione soddisfacente, il cliente potrà rivolgersi ad un Arbitro, che assumerà le vesti di organismo di risoluzione alternativa delle controversie, da contattare per la ricerca di una possibile soluzione extragiudiziale.
5. Tutela giudiziale: da ultimo, gli interessati potranno avviare un’azione legale contro la banca per contestarle la chiusura del conto, intesa come esercizio di un diritto potestativo non sempre portato a conoscenza del cliente in modo chiaro e trasparente; questo percorso può però essere particolarmente complesso e richiedere l’assistenza di un avvocato specializzato in diritto bancario e finanziario.
In conclusione, il quadro normativo italiano non sembra sufficientemente finalizzato a proteggere i consumatori attraverso i meccanismi individuati dalla normativa primaria e secondaria ora vigente; si può sperare tuttavia in un risveglio dell’AGCM, per quel che riguarda il richiamato conflitto d’interessi fra Banca d’Italia- Vigilanza e banche vigilate, e in una rinnovata attenzione del Ministro dell’Economia verso una normativa regolatoria che appare ormai – oltreché illegittima – del tutto incompatibile con le disposizioni del richiamato articolo 47 della nostra Costituzione.