venerdì, 15 Novembre, 2024
Politica

Il Parlamento che serve durante l’emergenza: una proposta

L’Italia non dispone di una normativa che regoli il modo di funzionare delle istituzioni durante una grave emergenza nazionale. È una grave lacuna che ci crea dei problemi.

Se la strategia del Governo contro la pandemia, condivisa da tutti i partiti, è quella del distanziamento sociale, il Parlamento non può sottrarsi ad essa. Da qui a dire che il Parlamento deve essere chiuso ce ne corre.

Se avessimo una legislazione di emergenza che prevedesse in questi casi il voto a distanza, il problema non si presenterebbe. Ma quando fu scritta la nostra Costituzione non c’era Internet… E se per le deliberazioni del Parlamento è richiesta la presenza della maggioranza dei componenti, c’è poco da interpretare.

I partiti e gruppi parlamentari si sono già accordati per dimezzare il numero dei loro rappresentanti assicurando comunque la presenza della maggioranza dei componenti di ciascuna delle due assemblee. Ma questa non è considerata da molti una soluzione.

Ci si potrebbe chiedere: e se la metà più uno dei deputati o dei senatori fosse costretta, in base alle norme varate dal governo, a restare a casa perché contagiata? Il Parlamento andrebbe chiuso? E i decreti legge che devono essere convertiti entro 60 giorni che fine farebbero visto che non possono essere ripresentati? L’Italia non può fare a meno del Parlamento e non può delegare al Governo i pieni poteri neanche in queste situazioni eccezionali. Meglio non stabilire precedenti.

In situazioni di emergenza bisogna, però, muoversi con una certa duttilità, senza intaccare i principi. Il principio è quello della presenza alle deliberazioni della maggioranza dei componenti delle Camere.

Una soluzione potrebbe essere questa. Il Presidente della Repubblica invia un messaggio alle Camere con cui, di fatto, chiede una essenziale legislazione di emergenza nel rispetto dello spirito della Costituzione.

Le Camere, anche in formato ridotto ma sempre con maggioranza dei componenti, si riuniscono per approvare rapidamente e all’unanimità una norma che preveda, in casi eccezionali la “presenza elettronica” in videoconferenza dei parlamentari e il conseguente voto palese a distanza, qualora la presenza fisica richiesta dalla Costituzione non possa essere garantita per motivi che attengono all’interesse supremo della sicurezza dello Stato, come in casi di epidemia, gravi calamità o guerre.

Con una norma del genere approvata per legge, promulgata dal Presidente della Repubblica – che l’ha sollecitata – e inserita per l’operatività nei regolamenti delle due assemblee il Parlamento potrebbe rapidamente organizzarsi per riunioni “snelle” alla presenza dei soli membri dell’ufficio di presidenza e della conferenza dei capigruppo, con gli altri parlamentari collegati in videoconferenza, magari tramite accesso certificato da identità oltre che visiva anche elettronica come SPID.

L’approvazione all’unanimità garantirebbe che non c’è alcun abuso di una parte a danno di un’altra; il riferimento al messaggio del Capo dello Stato che la promulga rassicurerebbe sulla inesistenza di un “palese contrasto con la Costituzione”.

È ovvio che qualcuno potrebbe comunque eccepire sulla costituzionalità di questa norma e che prima o poi la Consulta potrebbe doversene occupare. Ma intanto il Parlamento potrebbe funzionare senza aver compiuto, in buona fede, in modo trasparente e con una blanda copertura del capo dello Stato, alcun abuso e assicurare la continuità delle istituzioni. Accanto a questa norma si potrebbe introdurre anche la regola che, nei casi in cui si ricorre alle sedute e ai voti con presenza virtuale, le Commissioni parlamentari possano riunirsi in sede redigente, sempre in formato ridotto, acquisendo i pareri delle altre Commissioni con procedura semplificata.

Insomma le soluzioni si possono trovare. Ma il Parlamento deve restare aperto, anche come simbolo positivo, e deve funzionare utilizzando un mix di tecnologia e di ridottissima presenza fisica.

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