Un pezzo duro. Sì, un pezzo duro e difficile, scritto col buio nel cuore per la morte in un incidente stradale di quattro giovani. Uccisi dalla maledetta ed anacronistica strada statale 106, la “jonica”, da Reggio di Calabria a Taranto. Caratterizzata – siamo, mi pare, nel 2024, 82 anni dopo la caduta del regime fascista – ancora dagli stretti “ponti di Mussolini”, come canta Emilio Spataro, nella sua satirica canzone “A 100 e 6” nell’album “Opera Tamarra” del 2018 (accostamento che faccio in punta di piedi e col massimo rispetto per le migliaia di morti della SS 106, per ricordare che il problema della strada era ben noto a politici e amministratori).
Le vittime del terribile incidente stradale sulla 106, nel tratto che attraversa il territorio del Comune di Montauro, in provincia di Catanzaro, sono quattro giovani di San Luca. Tre donne ed un uomo. Una ragazza appena diciannovenne, Antonella Romeo. Due giovani madri, Teresa Giorgi (1989) ed Elisa Pelle (1999). Poco più di un ragazzo, Domenico Romeo, ventisettenne, fratello di Antonella.
San Luca è un paese aspromontano, che mi è particolarmente caro, come sanno i quaranta lettori che hanno seguito per quattro anni la mia rubrica “Il cittadino”. Nel suo vasto territorio, superbamente montano con foreste incantate, naturalisticamente bellissimo, si trova Polsi, col Santuario della Madonna della Montagna; poi il Montalto, la cima più alta dell’Aspromonte (l’Alpe emigrata in Calabria); gli incredibili monoliti di Pietra Lunga, Pietra Castello e la superba Pietra Cappa. È il paese natale di Corrado Alvaro, ma anche il luogo dove fino a pochi anni fa viveva Settimia Palma Mammoliti, poetessa analfabeta, espressione di una vivissima cultura popolare.
Positività e bellezze quasi ignote: anche a chi vive vicino. A San Luca non ci si va; come non si va a Platì e ad Africo: altri luoghi a me cari, il primo per dolci ricordi giovanili; il secondo perché conosciuto, quando ero già a Roma da otto anni, solo dopo aver letto il libro “Africo” di Corrado Stajano, rendendomi conto per la prima volta di non conoscere neppure il territorio dove ero nato e vissuto fino all’Università.
Paesi di pastori e contadini, con una vita dura e faticosa: «Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque…» (incipit di Gente in Aspromonte di Corrado Alvaro). Circa undicimila abitanti tra i tre comuni, tanta gente onesta: che oltre alle normali difficoltà della vita deve superare anche un pregiudizio. Perché essere di San Luca o di Plati o di Africo significa subire un razzismo: essere mafioso a priori, anche se si è la persona più integra e più mite del mondo.
Si tratta di una striscia di terra, interna, per secoli, forse anche per millenni, ignorata ed al di fuori della civiltà: perché non c’erano strade per arrivarci; come ancora oggi non c’è una strada per Polsi (o per le rovine di Africo Vecchia): solo piste da percorrere in fuoristrada.
Un pregiudizio razziale che mi fa rabbia, da Locride o e da calabrese. Perché so che se la Polizia della Strada mi ferma per un controllo mi trattiene più a lungo, per un controllo più accurato, non appena legge che sono nato a Locri: che è lo stesso luogo natio dei quattro giovani di San Luca. Paesi abbandonati completamente da parte dello Stato, che non solo non fa le strade, ma ignora completamente undicimila suoi cittadini, senza riuscire ad offrire loro soluzioni, alternative. Ed ignorando ipocritamente il pregiudizio nei loro confronti: pregiudizio che spesso è anche delle stesse istituzioni, timorose finanche di farsi vedere in quei luoghi.
Mi è duro scrivere ciò che sto scrivendo. La ‘ndrangheta è un male. Ma la generalizzazione del fenomeno avvilisce la gente onesta, toglie speranza e fiducia ai giovani, che non trovano alternative all’emigrazione.
Un pregiudizio che questa volta non si è fermato neppure di fronte alla tragica morte di due giovani madri, di una ragazza, di un ventisettenne.
Amaramente il Sindaco di San Luca, Bruno Bartolo, infermiere in pensione, uomo probo, onesto e coraggioso, mi ha confidato il suo sconforto: perché neppure di fronte alla tragedia della morte il razzismo si è fermato, mettendo in risalto cognomi e parentele delle vittime della 106, la ragione di quel loro viaggio a Catanzaro (visita in carcere ad un parente detenuto), il loro essere di San Luca, come una colpa che giustifica il genocidio. Il Sindaco Bartolo mi ha manifestato il suo dolore per i ragazzi perduti ma anche il suo dispiacere, perché una tragedia della misura di questa vissuta dalla comunità aspromontana, è stata quasi ignorata dalle istituzioni, salvo qualche eccezione. Insomma, la pietas ha subito ceduto il passo al pregiudizio.
Pregiudizio che è molto forte. Qualche giorno prima della tragedia di Montauro, discutendo della guerra nella striscia di Gaza, ho sentito parlare per la prima volta di alcune esagerate operazioni di Israele, che per combattere Hamas starebbe colpendo indiscriminatamente la popolazione. «Ecco» – mi ha detto l’interlocutore, conoscendo le mie origini locresi – «è come se per combattere la mafia bombardassero la Locride».
Francamente credo che mancherebbero l’obiettivo, perché dovrebbero magari cercare in qualche centro nordeuropeo dell’alta finanza. Ma è quello che succede quando si estende a tutti il pregiudizio: «non si affitta ai calabresi», il cartello che campeggiava a Torino negli anni ’50 non è una vergogna per i calabresi, ma per chi lo aveva affisso.
È certo, però, che San Luca, la Locride, la Calabria devono scrollarsi di dosso ogni pregiudizio e dimostrare di potere fare una cosa normale.
Come, da sempre, normale vuole essere Polsi Ambiente, la manifestazione nazionale organizzata nella Locride da La Discussione: parlare normalmente e liberamente di ambiente, tra persone normali.
Lo rifaremo quest’anno, per la quarta volta, nella Locride, a San Luca, dal 21 al 23 giugno: con un programma che si preannuncia sempre più importante.