Il Dl “Sud”, capo II, agli articoli 9-17 ha introdotto la zona economica speciale unica (Zes) per il Mezzogiorno dal 1° gennaio 2024, che, tra l’altro, prevede la concessione di un contributo sotto forma di credito d’imposta per le imprese che acquisiscono anche mediante contratti di locazione finanziaria, beni strumentali destinati a strutture produttive nel Mezzogiorno o acquisiscono terreni o realizzano o ampliano immobili strumentali agli investimenti.
Alcuni settori, però, come l’industria siderurgica, carbonifera e lignite, trasporti, energia, creditizio, finanziario, assicurativo, sono esclusi.
La misura del credito è quella massima della Carta degli aiuti a finalità regionale 2022 – 2027, alle dimensioni dell’impresa che vanno dal 15% al 60% del costo complessivo dei beni agevolabili per ciascun progetto di investimento.
Il credito d’imposta è cumulabile con aiuti “de minimis” e con altri aiuti di Stato che abbiano a oggetto i medesimi costi ammessi al beneficio. Si tratta dunque di aiuti veramente consistenti come si vede dalla tabella riportata di seguito e che hanno già fatto registrare impatti molto positivi dove hanno già operato, come ha dimostrato lo studio “The European House – Ambrosetti” presentato nel corso della Tavola rotonda “La Zona Economica Speciale (ZES) Campania e Calabria risultati raggiunti e sfide aperte”; in Campania sono stati attratti investimenti per 900 milioni con la creazione di 3.695 posti di lavoro. In Calabria sono stati effettuati notevoli investimenti.
Verranno perciò notevolmente penalizzate tutte quelle aree e quei territori che confinano con questa zona unica, come tutto il Lazio meridionale ed, in particolare, le provincie di Latina e Frosinone che hanno caratteristiche simili ai territori meridionali e risentono di tutte le stesse problematiche fin dai tempi dell’intervento straordinario della cassa del Mezzogiorno.
Per questo la proposta venuta da più parti (parlamentari, Camere di Commercio, Associazioni di categoria, ecc. ecc.) di estendere le Zes, zone economiche speciali, dalle regioni del Meridione anche alle province di Latina e Frosinone, non solo è ragionevole dal punto di vista economico e sociale per non creare squilibri in territori industriali omogenei e che non possono essere separati dal punto di vista normativo da muri ingiustificati con zone limitrofe, ma anche per le prospettive di sviluppo che si aprirebbero per le aree industriali del basso Lazio. In questa zona dell’Italia centro-meridionale alcuni comparti produttivi, che esistono e vivono di ricerca e di export, sono polmoni economici per l’intera regione e per una parte molto ampia del Paese, se si considerano il volume di fatturato, la capacità di investimento e l’indotto che generano a cascata. Per questo, a prescindere dalla creazione delle Zes, su cui pende la Spada di Damocle dell’Europa, dovremmo essere però pronti, con un piano B, per creare veri e propri “distretti industriali”, partendo da questi poli: “il farmaceutico”, primo per export della regione (12,6 miliardi) e per crescita (+9,5 miliardi dal 2008 ad oggi); “il chimico”, con un totale export di 2,8 miliardi nel 2022; “l’agro alimentare” dell’Agro-Pontino, con circa 9.500 le aziende agricole nel solo territorio provinciale di Latina, con circa 23mila addetti, 210 milioni di export nel 2022 (+2,7% tendenziale, +4% rispetto al 2019); “l’Aerospaziale”, che conta oltre 90 unità locali ed oltre 8.600 addetti, con esportazioni pari a 1,8 miliardi di euro nel 2022; “il nautico”, gioiello del made in Italy e del Lazio che è uno degli scrigni che ne contiene pezzi pregiati.
I distretti industriali si configurano come sistemi produttivi locali omogenei, caratterizzati da un’elevata concentrazione di imprese industriali dall’elevata specializzazione produttiva e con una notevole capacità di rispondere velocemente alle esigenze ed ai gusti del mercato con processi di innovazione di tipo continuo ed incrementale. I distretti industriali continuano a rappresentare uno dei maggiori punti di forza del sistema produttivo italiano.
In estrema sintesi, le tre principali ragioni per cui un distretto industriale può essere più efficiente di una soluzione stand alone sono: – la capacità di attirare fornitori specializzati; – la capacità di generare un bacino di lavoratori con qualifiche adatte; – la capacità di promuovere spillover di conoscenza oltre a semplificazioni ed agevolazioni fiscali.
L’obiettivo può essere perseguito attraverso la creazione di una “piattaforma comune”: sul piano fiscale; sul piano finanziario (con applicazione di semplificazioni e altri interventi volti a favorire il finanziamento dei distretti); sul piano degli adempimenti amministrativi (con la possibilità di intrattenere rapporti con le pubbliche amministrazione per il tramite del distretto); sul piano della ricerca e dello sviluppo.
Divenuti “distretti”, questi poli potrebbero essere sostenuti con misure mirate, di anti-burocrazia e di privilegio fiscale, in grado di aiutare queste imprese impegnate a vincere la battaglia in un’economia globalizzata che la guerra e la concorrenza sleale, così come il dumping sociale rischiano di penalizzare.
Solo in questo modo verrebbe valorizzata l’intera area del Lazio del Sud, favorendo l’aggregazione di imprese in distretti produttivi di eccellenza, che possano diventare delle “Silicon Valley” di ricerca e produzione internazionale, superando la dimensione individuale per creare una filiera che può vivere e crescere con il coordinamento ed il sostegno dello Stato e degli enti locali anche in armonia con le zone economiche speciali di altre aree del Paese nelle quali il governo e l’Europa intendono attivare corsie preferenziali di promozione e di vantaggio fiscale e burocratico.
L’Europa può anche marciare a più velocità, ma solo se i progetti industriali dei singoli Paesi saranno in grado di valorizzare le specificità e di intervenire sulle debolezze, non solo nelle zone di arretratezza produttiva, ma anche laddove, come nel basso Lazio, alcune realtà già competono sui mercati internazionali e necessitano solo di impulsi alla crescita.
Gli attuali poli, dunque, una volta diventati veri e propri distretti industriali, sarebbero in grado di attrarre investimenti e potrebbero rappresentare la risposta, sul piano dell’economia reale, alle esigenze di sviluppo del territorio, con o senza Zes.
Dobbiamo perciò essere pronti, perché se nemmeno in questo piano B dovessimo riuscire, potremmo correre il rischio di uno scollamento dal resto d’Italia favorito paradossalmente da una maggiore attenzione da parte del governo e dell’Europa verso aree arretrare del Paese, per le quali si stanno predisponendo misure “ad hoc”. Per tutti questi motivi bisogna fare squadra e l’iniziativa del Presidente Rocca dovrebbe ricevere il sostegno anche dalle forze di opposizione, oltre che dalla maggioranza sia a livello nazionale che locale, perché il decreto Sud ha già passato l’esame della Camera dei Deputati ed è arrivato al Senato in seconda lettura con due articoli principali, uno dei quali prevede appunto l’istituzione della Zona economica speciale unica che diventerà operativa dal 1° gennaio 2024 per Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna.
Per fronteggiare gli effetti della crisi, che è solo agli albori e che è destinata a farsi ancor più pesante alla luce di nuovi fronti di guerra, che si sono aperti a livello internazionale, la battaglia per le Zes anche nel basso Lazio è fondamentale, ma altrettanto necessario essere pronti per il piano B che sopra ho proposto.