Un gruppo per i diritti umani ha dichiarato che circa seicento nordcoreani sarebbero scomparsi dopo essere stati rimpatriati dalla Cina. Nell’isolato Paese comunista rischiano di dover affrontare incarcerazioni e abusi da parte delle autorità. Il Transitional Justice Working Group (TJWG), con sede a Seul, in Corea del Sud, ha definito il rimpatrio di massa, avvenuto nel mese di ottobre, il più grande degli ultimi anni. Anche l’identità della maggior parte dei nordcoreani rimpatriati rimane sconosciuta. Si stima che per oltre il 70% si tratti di donne. Considerati criminali e traditori dal regime nordcoreano, probabilmente dovranno affrontare torture e violenze sessuali e di genere, prigionia in campi di concentramento, aborti forzati ed esecuzioni. Il TJWG ha esortato gli Stati Uniti e gli altri governi a condannare le azioni della Cina come violazione delle norme internazionali. “A differenza della Corea del Nord, la Cina ha effettivamente a cuore la propria reputazione internazionale – ha affermato Ethan Hee-Seok Shin, analista legale presso TJWG -. Crediamo che critiche e azioni più energiche da parte degli Stati Uniti potrebbero indurre Pechino a riconsiderare la sua politica”. Né il governo cinese né quello nordcoreano hanno riconosciuto direttamente la deportazione di massa. Il Ministero degli Affari Esteri cinese, all’epoca, affermò che in Cina non c’erano “cosiddetti disertori” e che Pechino aveva sempre gestito la questione in conformità con il diritto nazionale e internazionale. Shin ha affermato che molti di coloro rimpatriati in Corea del Nord sono stati detenuti nella vicina Cina mentre cercavano di fuggire verso la Corea del Sud e altri paesi terzi. La Cina non ha mai riconosciuto i rifugiati nordcoreani come disertori, etichettandoli invece come “migranti economici” che si trovano illegalmente nel Paese.