Adesso che le polemiche sulla riforma costituzionale, approvata dal Consiglio dei ministri, sembrano essersi sopite, è possibile avviare alcune riflessioni sul richiamato progetto di legge.
A tal fine è opportuno rammentare che tale progetto delinea una forma di governo riconducibile nel così detto premierato, che si caratterizza, in quanto il Presidente del Consiglio dei Ministri viene eletto direttamente dal popolo e poiché il premier non cumula –come accade nella forma di governo presidenziale- la funzione di Capo dello Stato.
Se si tiene conto di tutto questo, è agevole rendersi conto che il disegno di legge in esame adotta soluzioni non del tutto convincenti. Così, ad esempio, esso prevede che il Presidente della Repubblica conferisca al Presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il Governo. Sennonché tale previsione normativa non è del tutto lineare: se si considera che il Presidente eletto ha ricevuto una investitura popolare, è del tutto inutile –o, se si vuole, contraddittorio- prevedere che ad egli il Presidente della Repubblica conferisca l’incarico di formare il Governo. Analogamente il testo normativo in esame attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di sciogliere le Camere. Questo potere, come è noto, può essere esercitato, quando le Camere si trovano nell’impossibilità di funzionare, in quanto non riescono ad esprimere una maggioranza governativa. Ma evidentemente, nella dinamica del testo normativo in esame, tale eventualità è irrealizzabile, se si considera che esso nell’attribuire alla legge ordinaria la competenza a disciplinare la legge elettorale, pone il principio che essa debba ispirarsi ai principi di governabilità e rappresentatività in modo che un premio assegnato su base nazionale garantisca ai candidati ed alle liste collegate al Presidente del Consiglio il 55 per cento dei seggi.
Ancora il disegno di legge prevede che il Presidente del Consiglio eletto ottenga la fiducia dalle Camere. Ma, ancora una volta, se il Presidente del Consiglio ha avuto una investitura popolare, non ha senso prevedere che esso ottenga la fiducia dal Parlamento. Al riguardo, non è un caso che l’istituto della fiducia sia estraneo al sistema presidenziali, che presenta significative analogie con il premierato.
Insomma vien fatto di dire che gli estensori dell’articolato in esame hanno fatto un po’ di confusione, se è vero che alla disciplina del premierato hanno sovrapposto regole proprie della forma di governo parlamentare.
Da ultimo, occorre richiamare l’attenzione su un problema di assoluto rilievo: è ben noto che nessun Paese ha adottato la forma di governo del premierato, se si eccettua Israele, che l’adottò nel 1992, per poi abrogarla, poiché ci si rese conto che erroneamente si era pensato che essa consentisse di restituire stabilità al sistema politico. Ciò postula che, per poter dare un giudizio definitivo sulla riforma costituzionale, occorre aspettare che essa venga prima approvata e poi attuata.