lunedì, 18 Novembre, 2024
Attualità

Se la Sicurezza sorpassa la Giustizia

Il Consiglio dei Ministri del 16 novembre 2023, ha approvato una serie di misure sulla sicurezza: introducendo nuovi reati ed inasprendo le pene relative ad alcuni reati già esistenti.

Trovo significativo che questo decreto, pur inserito tra i provvedimenti sulla “giustizia”, sia stato presentato dal Ministro degli Interni Piantedosi, piuttosto che dal Guardasigilli Nordio.

In effetti il decreto in nulla incide sulla riforma della giustizia promessa, se non per certificarne il definitivo abbandono.

Il decreto approvato, anzi, dettando una previsione che costituisce una dubbia innovazione rispetto al nostro sistema ed alle garanzie giurisdizionali (la possibilità di giudizio e conseguente intervento diretto delle forze di polizia, per ora su una singola fattispecie), ha in un certo senso certificato l’incapacità del nostro ordinamento di ottenere un provvedimento tempestivo da parte del giudice.

Mi sto riferendo alla “mano libera” data alle forze di polizia in determinati casi, quale l’occupazione abusiva di case. Da oggi la forza di p.s. che riceve la denuncia può intervenire direttamente, anche senza ordine del giudice;

È stato così normato uno specifico reato con cui si intende contrastare le occupazioni abusive di immobili. È un reato perseguibile a querela della persona offesa, che punisce con la reclusione da 2 a 7 anni chi occupa senza titolo un immobile altrui, o comunque impedisce il rientro nell’immobile del proprietario o di colui che lo deteneva.

La norma prevede la non punibilità per l’occupante che collabora e che rilascia volontariamente l’immobile occupato: una sorta di matrimonio riparatore che fa venir meno il reato. Ma stabilisce anche un procedimento – anzi la non necessità di un procedimento – per procedere alla restituzione dell’immobile a chi ne ha diritto. In presenza di alcuni presupposti (ad esempio che l’immobile sia l’unica abitazione della persona offesa) la liberazione dell’immobile può essere eseguita direttamente dalla polizia. Solo successivamente dovrà essere richiesto l’intervento del giudice.

Come si anticipava, la norma, al di là della delega alle forze dell’ordine di una valutazione sia pure sommaria delle ragioni del denunciante, veramente certifica l’inesistenza concreta della possibilità di intervento cautelare immediato del giudice ordinario, nonostante una serie di previsioni legislative ancora esistenti che prevedono provvedimenti inaudita altera parte: la possibilità per il giudice di disporre, un provvedimento cautelare a tutela di un diritto che si ha ragione, a seguito di una sommaria disamina a ritenere pregiudicato.

Ove si fosse ammessa l’ipotesi di un giudice che provvedesse ad horas, la nuova legge si sarebbe dovuta limitare a prevedere, per evitare i ritardi della complessa procedura esecutiva, che quel provvedimento potesse essere eseguito direttamente dalle forze dell’ordine: ma dare al poliziotto la facoltà di giudicare è un precedente pericoloso, che mi lascia perplesso. Anzi, lo dico senza mezzi termini: che non mi piace.

Mi veniva un paragone, impietoso per il nostro sistema giudiziario, sulla vicenda della piccola Indi Gregory, la bambina di 8 mesi affetta da una malattia mitocondriale, inguaribile, ma non incurabile (l’Ospedale Bambi Gesù di Roma si era offerto), dichiarata cittadina italiana da un Consiglio dei Ministri apposito, ma non per questo sottratta alla giurisdizione britannica.

Nello spazio dell’ultimo mese è successo che i medici del Queen’s Medical Centre di Nottingham dove la bimba era ricoverata hanno stabilito di sospendere la necessaria respirazione artificiale della piccola, lasciandola così morire. Alla decisione dei medici si sono opposti i genitori di Indi, ottenendo però sentenze sia pure negative, ma in tempi per noi inconcepibili. Così da rivolgere un estremo ricorso all’Alta Corte, interessato in extremis allorché si stava già per “staccare la spina”. La quale Alta Corte si è subito pronunciata, ordinando la prosecuzione delle cure per poter valutare il trasferimento della bimba a Roma. Ancora pochi giorni ed ecco il provvedimento definitivo, in linea con la tesi dei sanitari inglesi: cessare le cure, perché ogni ulteriore trattamento clinico avrebbe comportato sofferenze, configurandosi soltanto come accanimento terapeutico.

Irrilevante ai fini del nostro discorso l’atteggiamento personale sull’argomento: personalmente, se fossi stato il giudice inglese, la bimba sarebbe già a Roma da due settimane.

Quello che conta è che il sistema giudiziario inglese è intervenuto nella questione, con tre sentenze nello spazio di quindici giorni. Laddove il sistema giudiziario italiano nello stesso tempo non sarebbe riuscito neppure, se interpellato, a nominare un curatore speciale (previsto per i casi di urgenza per supplire all’inerzia dei genitori) perché agisse in giudizio per tutelare i diritti della bambina.

Così che giungo all’amara conclusione che è inutile dettare norme speciali, se non si interviene con una effettiva riforma del processo, con la possibilità di intervento anche immediato del giudice.

Non occorre andare fino in Inghilterra: nel nostro processo amministrativo esiste un sistema di misure cautelari che consente, concretamente e realmente, efficaci misure cautelare: spesso già il giorno successivo al deposito del ricorso.

Ma l’effettività della tutela giurisdizionale sembra sempre l’ultima preoccupazione: per tutti e tre i poteri dello Stato.

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