Il TG1 delle ore 20 di domenica primo ottobre ha mandato in onda un servizio che ha destato molto scalpore in Calabria. Si trattava di un reportage che voleva illustrare l’attività, importantissima e di cui dobbiamo essere tutti grati, svolta dai Carabinieri in zone particolarmente complicate.
Il servizio, senza titolo, è stato presentato dal conduttore del telegiornale con queste parole: «…stazioni di frontiera sono i presidi dei Carabinieri nei territori più difficili. Con l’inviata Fenesia Calluso siamo andati a San Luca, nella Locride, dove lo squadrone dei Cacciatori di Calabria cattura i latitanti della ‘ndrangheta».
Una presentazione che già delinea la problematica che vogliamo affrontare.
Perché la brava e calabresissima Fenesia Calluso nell’intento di lodare l’attività dei Carabinieri, si è scordata dei valori positivi, della grande ed antica civiltà e della cultura di quelle popolazioni e del loro forte sentimento di rinascita e liberazione. Reazione che ha ben espresso Don Ennio Stamile, Rettore della UniRiMi di Limbadi: «un cliché ormai ampiamente consolidato: immagini di luoghi e persone montate ad arte per mostrare il solito volto di una Calabria retrograda, governata dalla ‘ndrangheta e sostanzialmente senza speranza di poter cambiare».
Un contenuto nel reportage in commento, che integra le sensazioni riprovevoli, mostrando immagini sempre in negativo, compresi i cunicoli utilizzati dai latitanti sotto i paesi: ma senza annotare, ad esempio, che la società civile, con l’Associazione Terre d’Aspromonte, ha trasformato, a Platì, quei simboli di mafia in utilità sociali e luoghi d’arte.
Dall’omissione è derivata l’impressione di un territorio interamente legato e collegato alle attività della ‘ndrangheta. Ciò che non è, perché in Calabria, e nella Locride soprattutto, c’è una società civile che sempre di più ha preso le distanze dal metodo mafioso e che sempre di più invoca – vanamente, per ora – rimedi ed iniziative sociali, diversi dalla repressione: che non è lotta al fenomeno mafioso, perché non lo previene, ma ricerca e punizione di chi già ha commesso il reato.
Così che da calabrese emigrato a Roma da 52 anni, constato con molta tristezza la permanenza del fenomeno e l’inutilità di una battaglia così condotta: con i cognomi delle famiglie a capo delle ‘ndrine dei vari paesi, che – nonostante migliaia di arresti, condanne severissime, carcere duro e più di trent’anni di antimafia – sono sempre gli stessi. Ma percepisco anche che la ‘ndrangheta, non toccata nella sua essenza dalla repressione, si è evoluta, ha travalicato i confini nazionali ed europei ed è un sistema molto più raffinato: ma proprio per questo da contrastare con altri mezzi. I valorosi Cacciatori di Calabria sono un battaglione creato nel 1991; c’è un solo altro omologo in Italia: i Cacciatori di Sardegna, anch’esso della stessa epoca, quando l’anonima sequestri era un affare esclusivamente calabro-sardo. Mi perdonino i Carabinieri: forse si potrebbe cominciare ad eliminare un predicato che oggi suona un po’ di pregiudizio. Cacciatori, come nel resto d’Italia sarebbe sufficiente per un contingente di altissima specializzazione.
Ma torniamo al servizio del TG1. Comincia con riprese dall’elicottero che sorvola i centenari boschi dell’Aspromonte, fa vedere i suoi monoliti alpini, volteggia attorno alla magia di Pietra Cappa, sorvola il laborioso e sacro Santuario. Il commento, però, non è sincronizzato alle immagini meravigliose, né all’epoca della messa in onda: «La raggiungiamo dall’alto, la Locride, sorvolando l’Aspromonte, 105 chilometri quadrati di fitta vegetazione, per questo adatto a sequestri e latitanze. Il Santuario della Madonna di Polsi, dove, lo raccontano le inchieste, si incontrano gli ‘ndranghetisti. San Luca dove l’organizzazione è nata».
Inutile dire che io – innamorato perso della mia Locride tutta e sempre più cittadino non solo di Locri e di Siderno, ma orgogliosamente anche di San Luca, Africo e Platì – vedo in quelle immagini la meraviglia e lo stupore di una delle più magnifiche bellezze naturali d’Europa, il Parco Nazionale dell’Aspromonte, l’Alpe emigrata in Calabria.
Ammettendo anche che non avrei avuto nulla da osservare se il servizio fosse andato in onda trenta, quarant’anni fa: quando l’Aspromonte era completamente in mano alla ‘ndrangheta, luogo dove nascondere i numerosissimi sequestrati (dramma sociale incredibile, che ha determinato una vera e propria fuga dalla Calabria) e nascondiglio per centinaia di latitanti; con una guerra di mafia che faceva centinaia di morti l’anno. Ma anche quando al Santuario di Polsi – luogo di culto popolarissimo non solo nel reggino (jonico e tirrenico), ma anche nel messinese, raggiunto in pellegrinaggio, a piedi, da migliaia di fedeli – il “borghese” non andava: e non soltanto per la mancanza di strade, che quella c’è ancora oggi, ma proprio per la sua fama.
C’è voluto un grande e illuminato Vescovo, un montanaro trentino come Mons. Bregantini, per sdoganare Polsi in ambienti c.d. “benpensanti”. Padre Giancarlo – consentitemi di chiamarlo così – immagino che si sia chiesto come fosse possibile che nella sua Diocesi di Locri (della quale fu Vescovo dal 1994 al 2007) ci fosse un Santuario millenario, meta di pellegrinaggi di migliaia di fedeli, ma irraggiungibile per mancanza di strade. Molto semplicemente si incamminò anch’egli verso Polsi, mostrando che si poteva e doveva andare dalla Madre della Montagna. Usò tutta la sua influenza perché venisse costruita una strada; senza molta fortuna: ottenne una “pista”, da percorrere, dopo avere attraversato il greto della fiumara Buonamico. Ma da allora Polsi è un luogo in cui andare.
Fece molto di più, Padre Giancarlo: mostrò che la montagna era una risorsa e non un solamente un ostacolo. Per la prima volta ha mostrato una via diversa nella lotta alla mafia, creando una serie di cooperative proprio in Aspromonte. Un esempio sociale ed imprenditoriale, ancora attualissimo e che offre un’alternativa ai giovani.
Proprio su San Luca ho scritto uno dei pochissimi articoli di cui vado orgoglioso, “Fuoco negli Occhi di donna”(domenica 15 agosto 2021), la narrazione di una meravigliosa mostra visitata a San Luca, tutta al femminile: «Ascoltare le aspirazioni, i sogni di queste giovani donne. Ma anche le loro paure, che non hanno nulla in comune con i problemi delle loro coetanee di altri posti. Il loro chiedersi su dove potranno andare, su come potranno proporsi nel mondo, con quella loro origine di un paese meraviglioso come San Luca, che si è voluto fosse più conosciuto come capitale della ‘ndrangheta che come paese natale di Corrado Alvaro, gigante della letteratura del Novecento. Magari portando il cognome di una delle famiglie più tristemente famose…».
La ‘ndrangheta c’è anche nel 2023 ed è un fenomeno tragico, un cancro da debellare. Ma la gente della Locride non vuole e non consente che la sua presenza ne condizioni la vita e le legittime aspirazioni di normalità.
Normalmente quindi, da anni, andiamo a Polsi (San Luca, Locride, Aspromonte, Calabria), portando persone da ogni parte d’Italia, a parlare con normalità e con libertà di ambiente e legalità.
Ufficialmente invitiamo Fenesia Calluso alla Quarta Edizione di Polsi Ambiente (che, annunciamo, si terrà da venerdì 28 giugno a domenica 30 giugno 2024): per parlare anche con lei, voce importantissima del TG1, di ambiente: normalmente, nonostante saremo nella Locride ed a Polsi.