I commentatori politici più ostili al Governo Meloni hanno in questi giorni buon gioco nell’osservare che difficilmente sarà possibile mantenere tutti gli obiettivi pubblicizzati dalla Giorgia nazionale, visto che gli uffici della Commissione UE – ampiamente spalleggiati da Christine Lagarde, nel suo ruolo di cane da guardia dell’inflazione – non perdono occasione per richiamare l’Italia al rispetto del Patto prima ancora del suo effettivo ritorno in vigore.
Tutti sappiamo che il Patto di Stabilità e Crescita (PSC) ha rappresentato per molti anni la colonna portante della politica economica dell’Unione Europea (UE) per i Paesi che hanno adottato l’Euro, ma la memoria corta della politica ha fatto presto dimenticare quello che accadde alla Grecia e poi all’Italia, quando fu commissariata per spremerne meno lacrime e sangue di quelle versate dalla sorellina ellenica, ma sicuramente alleggerendo le tasche degli italiani nello stesso momento in cui si appesantivano quelle dei loro amici tedeschi per gli aumenti di stipendio a raffica che il governo Merkel incoraggiava.
Molti di noi sembrano aver dimenticato quei tristi momenti e così I vincoli di bilancio imposti dal PSC sono ormai più oggetto di dibattiti che di polemiche, in particolare in tempi di crisi economica, quando i governi cercano maggiore flessibilità per sostenere le loro economie: eppure alle polemiche si dovra’ necessariamente arrivare, soprattutto nel caso in cui fallissero le strategie italiane per superare le restrizioni del PSC.
Ma quali sono queste strategie? Ne ho individuato essenzialmente tre:
- Rinegoziazione del Patto: L’Italia ha cercato di rinegoziare i termini del PSC, proponendo una maggiore flessibilità in funzione delle esigenze economiche contingenti e sostenendo che una maggiore flessibilità potrebbe portare a una crescita più sostenuta, con evidenti benefici sulla riduzione del debito pubblico.
- Investimenti strategici: Un altro approccio è stato quello di sostenere che certi investimenti, specialmente in infrastrutture e ricerca, dovrebbero essere esclusi dal calcolo del deficit, in quanto rappresentano un impegno per la crescita futura e non solo una spesa corrente.
- Recessione e clausole di salvaguardia: L’Italia ha pure cercato di fare affidamento su clausole di salvaguardia che permettono temporaneamente di superare i limiti del PSC in caso di gravi recessioni o circostanze eccezionali, ma non mi sentirei di puntare più di tanto su questo affidamento, perché ad esso si oppongono i Paesi del Nord Europa e – chissà perché – La Germania che, in questo momento ha problemi di sviluppo ben più grandi dei nostri.
Di fronte a un quadro che non induce all’ottimismo, Giorgia Meloni potrebbe però – almeno per una volta – tornare ad indossare i panni di Colei che voleva uscire dall’Euro pur restando nell’UE.
Mi rendo conto che questo suggerimento suona quasi come una bestemmia, anche perché uscire dall’Euro rappresenta una soluzione estrema e complicata, ma gli ammiragli più esperti ci insegnano che – in presenza di determinate tempeste dell’oceano – la “rotta suicida” può essere l’unica via per portare in salvo la nave e nel nostro caso la scelta di quella rotta potrebbe consistere semplicemente nell’annuncio che il Governo Italiano – conscio della gravità di conseguenze che dovrà subire dall’avvio di una procedura di infrazione per extradeficit – sta valutando la possibilità di tornare a battere una propria moneta, attraverso la quale restituirà anche i prestiti che l’Europa le ha concesso.
Tecnicamente, il Trattato di Lisbona, che costituisce la base giuridica dell’UE, non prevede un meccanismo specifico per un Paese che desideri abbandonare l’Euro pur rimanendo membro dell’UE; l’articolo 50 del Trattato prevede infatti solamente l’uscita di un paese dall’UE, ma non specificamente dall’Eurozona.
Tuttavia, se l’Italia decidesse di uscire dall’Euro, dovrebbe negoziare un nuovo accordo con gli altri Paesi membri e se è vero che questo processo sarebbe lungo, complesso e potenzialmente dannoso per la propria economia, non meno dannoso sarebbe per l’Eurozona nel suo insieme.
Con un pure finalita’ di speculazione intellettuale, provo percio’ ad individuare gli strumenti giuridici per uscire dalla moneta unica:
- Negoziato bilaterale: Se l’Italia decidesse di abbandonare l’Euro, dovrebbe negoziare un accordo bilaterale con l’UE, analogamente a quanto fatto dal Regno Unito con la Brexit, anche se il contesto sarebbe evidentemente diverso, sarebbe anche meno complesso.
- Rinegoziazione dei Trattati: L’Italia potrebbe cercare di rinegoziare i Trattati dell’UE per includere una clausola che permetta l’uscita dall’Eurozona. Questo richiederebbe l’unanimità di tutti gli Stati membri, il che rende questa via praticamente impercorribile, ma non è detto che la si debba abbandonare prima ancora di porre in essere un qualche tentativo di percorrerla.
- Uscita unilaterale: Una soluzione estrema potrebbe essere infine quella di uscire unilateralmente dall’Euro, ma ciò avrebbe serie ripercussioni economiche, politiche e giuridiche, ma a mali estremi…
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“Le opinioni espresse dal prof.Tedeschini in questo articolo non rispecchiano la linea editoriale del nostro giornale che, richiamandosi al suo fondatore, Alcide De Gasperi, è saldamente europeista ed è favorevole ad un rafforzamento delle istituzioni comunitarie incluse quelle che riguardano l’unità monetaria. Lungi da noi ipotizzare una fuoriuscita dall’euro, proprio mentre il mondo in subbuglio ha bisogno di stabilizzazione e mentre una quarantina di Paesi sotto l’ombrello della Cina e della Russia vogliono creare una loro moneta. Giorgia Meloni e la sua squadra hanno le carte in regola per poter ricorrere a strumenti diplomatici costruttivi per ottenere maggior attenzione dalla Commissione europea verso le richieste italiane di revisione del Patto di stabilità.”