lunedì, 8 Luglio, 2024
Sanità

Sanità, mancano 30mila medici e 50 miliardi entro il 2028

Rapporto Crea. A rischio le cure e l'assistenza

Mancano uomini, donne e mezzi. Per mezzi si intenda, soldi. E’ questa l’amara sintesi della Sanità italiana. E ne mancano tanti: per medici siamo intorno alle 30mila unità, per le infermiere si stima una vacanza intorno alle 300mila unità, per i soldi almeno 10 miliardi l’anno per cinque anni. Dopo la pandemia si impone un ripensamento della Sanità nazionale anche nella prospettiva, tutta diversa dal passato, di un popolazione fortemente invecchiata.

Rapporto Crea per la sanità

A sottolineare la crisi del Servizio sanitario nazionale è il Rapporto del Centro di ricerca economica applicata alla sanità (Crea) da dive emerge che alla sanità italiana mancano almeno 50 miliardi per avere un’incidenza media sul Pil analoga agli altri paesi Eu. Quanto ai medici, se si considera la popolazione over 75, se ne dovrebbero assumere almeno 15mila ogni anno per i prossimi 10 anni. Per non parlare degli infermieri: ne servirebbero 30-40mila all’anno. Ma in questo caso non c’è più speranza perché si tratta di “un numero irraggiungibile” perché la propensione a intraprendere la professione è solo un terzo rispetto agli altri paesi europei. Né l’Italia può far conto di attrarre professionisti dall’estero: entrano nel nostro Paese meno dell’1% dei medici, contro il 10% (fino al 30%) negli altri Paesi; analogamente, vengono dall’estero meno del 5% degli infermieri contro percentuali del 15% nel Regno Unito e del 9% in Germania.

Spese sanitarie “catastrofiche”

Secondo il Rapporto, “il finanziamento pubblico si ferma al 75,6% della spesa contro una media Eu dell’82,9% mentre la spesa privata incide per il 2,3% sul Pil contro una media Eu del 2%.” I nuclei famigliari spendono in media 1.700 euro; ovvero oltre un miliardo per farmaci compresi quelli rimborsabili dal Ssn. Aumenta anche il disagio economico per le spese sanitarie: il 5,2% delle famiglie, 378.627 nuclei familiari (l’1,5%) si impoveriscono per le spese sanitarie e 610.048 (il 2,3%) sostengono spese sanitarie, cosiddette, “catastrofiche”.

C’è stata poca programmazione

“Abbiamo alle spalle anni complicati, non si scopre solo adesso”, commenta Enrico Coscioni, presidente di Agenas, “è un dato rivendicato e ribadito da tutti, soprattutto se messo in relazione al Pil degli altri Paesi e alla spesa sanitaria. C’è differenza sul fondo sanitario e si potrebbe ancora precipitare. Soprattutto dopo il Covid si è compresa l’importanza di una sanità pubblica forte, come ha ribadito lo stesso ministro Schillaci”. E aggiunge: “sono all’ordine del giorno le richieste di nuove risorse umane. È stato riconosciuto da tutti che abbiamo avuto un deficit di programmazione”.

Sanitaria “a gettone”

Per gli infermieri, anzi per le infermiere (il lavoro è svolto soprattutto da donne) sono cifre enormi: 224mila in meno, che arrivano a oltre 320mila in meno sempre considerando la popolazione over 75. E non è ancora ben stimato il numero delle operatrici sanitari che mancano. In alcuni territori il sistema è in affanno da tempo. Lo conferma il ceo di Mst Group; una società di medici privati che ha appalti nei Pronto soccorso del Veneto e della Sardegna, che racconta a un quotidiano locale: “noi tra Veneto e Sardegna abbiamo 140 medici, di cui 44 stranieri, molti argentini.” Un medico “gettonista” può guadagnare fino a 100 euro l’ora; più di un dipendente del Sistema sanitario, ma vanno messi in conto la precarietà, turni di 12 ore, mancanza di malattie e ferie. “Una soluzione facile, quella di avvalersi dei medici gettonisti per risolvere i problemi organizzativi ma non per l’assistenza ai malati”, ha commentato il Presidente dell’OMCeO di Trento, Marco Ioppi. E sulla questione è intervenuto anche il Presidente dell’Anticorruzione, Giuseppe Busia: “sono in gioco l’elevato costo e l’inadeguatezza del servizio offerto; la sua scarsa affidabilità, il far west dei contratti di durata breve con elusione di qualsiasi principio di programmazione e concorrenza.”

Depenalizzare l’atto medico

Dunque non è solo questione di soldi: ad esempio la depenalizzazione dell’atto medico, causa peraltro di medicina difensiva, costa 11 miliardi. E poi ci sono le tante ricette proposte: la riforma del ruolo del medico e dirigente sanitario con abolizione incompatibilità, la riforma del dm 70 che ha tagliato 35mila posti letto e 7mila reparti, l’abolizione del tetto di spesa al personale che oggi impedirebbe alle aziende anche se volessero di assumere massicciamente. Pierino Di Silverio, segretario nazionale Anaao Assomed chiosa così: “Oggi le aziende ospedaliere da un lato dicono di non avere soldi, ma dall’altro spendono fior di quattrini per medici a gettone”.

Eguaglianza a rischio

Le conclusioni del Rapporto Crea, curato da Federico Spandonaro, Daniela D’Angela e Barbara Polistena sono impietose: “La sostenibilità è questione inscindibile dalla definizione delle aspettative. Se queste ultime sono rapportate ai livelli medi di welfare europei, l’unica possibilità per garantire la sostenibilità del servizio sanitario italiano risiede nella capacità di innescare una crescita del denominatore, ovvero del Pil”. “Se questo non avverrà, l’attuale assetto delle ‘garanzie’ del Ssn non è di fatto più sostenibile e bisognerà ridefinirlo. In altri termini, se non si determinerà una crescita adeguata o non si creeranno condizioni che fermino la perdita di risorse umane e aprano la strada all’accesso alle innovazioni, si dovrà passare a una logica di universalismo selettivo, che privilegi l’accesso dei più fragili, ma con un impatto non indifferente sull’equità del sistema sanitario”.

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