È ormai remota la data del 4 dicembre del 2016 quando gli italiani vennero chiamati a decidere su una serie di riforme della nostra Carta costituzionale, tra cui la più radicale riguardava proprio il superamento del bicameralismo paritario, benché sarebbe più esatto dire imperfetto proprio per molte e rilevanti differenze, fatta eccezione per gli identici poteri e funzioni.
Sono di età diverse sia gli elettori che gli eleggibili di Camera e Senato, come anche i collegi e i numeri dei deputati e senatori: ora 400 i deputati e 200 i senatori (art.56 e 57). Vi è una eccezione non di poco conto che riguarda la figura dei senatori a vita, di estrazione dai Presidenti della Repubblica al termine del loro mandato presidenziale, salvo immediata rinuncia, e di quelli di nomina dello stesso Presidente della Repubblica (art. 59). Mancano le possibili nomine dii deputati a vita, benché siano il doppio dei senatori e, fino a prova contraria, neanche inferiori culturalmente e professionalmente.
Anche i regolamenti sono autonomi e differenti. Infatti l’articolo 64 della Costituzione afferma che: “Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti”.
Si potrebbero unificare con le dovute eccezioni persistendo la differenza di numero tra deputati e senatori. Anche il successivo articolo 66 non è di poco conto quando dispone che: “Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”.
È difficile immaginare queste due diverse forme di reclutamento o gara nazionale, mi si lasci passare il termine poco ortodosso, ma solamente per motivi di maggiore chiarezza. Inoltre vi è l’articolo 69, forse quello che poi, nella pratica attuazione consuetudinaria in virtù della autonomia dei due regolamenti e non solo, fa torcere di più il naso perché riguarda l’aspetto economico, che ha voluto sancire un principio democratico, secondo cui tutti hanno diritto di accedere alle cariche pubbliche, anche i meno abbienti, affermando che: “I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge”.
In questi giorni è stato fatto rilevare che i deputati ricevono, complessivamente, retribuzioni e/o emolumenti vari di importo inferiore ai senatori. Sicuramente è una disparità di trattamento che viola il più elementare principio costituzionale. È proprio il rinvio alla legge da cui partono le discriminazioni tra deputati e senatori, a parte tanti altri specifici privilegi diretti e indiretti.
È bene ricordare che il disegno di legge di revisione costituzionale del 2016 era così intitolato: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”.
Un disegno riformatore complesso e di difficile risposta per l’elettore, richiedendo una risposta molto articolata e di non facile comprensione per il cittadino comune. Alla fine il referendum non ebbe le fortune auspicate e le arringhe dei promotori vennero, forse, dimenticate da loro stessi, tra cui l’ideatore che, al contrario delle promesse fatte, continua a sedere in Parlamento e proprio nei banchi del Senato della Repubblica che intendeva sopprimere. Chi non ricorda la sua ultima arringa in Senato?
La nostra Costituzione ha subito, nel tempo, modifiche importanti e adattamenti al dinamismo degli eventi nazionali, europei e mondiali, ma vi sono dei pilastri che se, indeboliti, potrebbero far vacillare l’intera impalcatura su cui poggia la nostra Carta Costituzionale, giudicata da tanti, la più bella del mondo.