È di appena qualche giorno fa l’ultima maxi rissa scoppiata nel carcere di Regina Coeli a Roma, un ulteriore chiaro segnale dell’alto livello di tensione e di degrado del sistema penitenziario italiano. L’episodio avrebbe potuto trasformarsi in una vera e propria carneficina se gli agenti penitenziari non fossero intervenuti prontamente. I detenuti della III e VI Sezione dello storico carcere, già in preda ad agitazioni il giorno precedente, sono entrati in conflitto con le forze dell’ordine durante la messa domenicale rifiutandosi di rientrare nelle celle, armati di bastoni e spranghe improvvisate. Non è dato sapere i motivi di quest’ultima emblematica rappresaglia, ha sottolineato l’Ussp, la Federazione sindacale della polizia penitenziaria, ma la situazione è sempre più bollente e probabilmente questo gravissimo atto è la dimostrazione che non si possono più rimandare interventi migliorativi per la sicurezza di tutti quelli che vi vivono e vi lavorano.
La rissa è divampata violentemente, coinvolgendo almeno 130 detenuti, ma fortunatamente nessun agente di polizia è rimasto coinvolto o ferito durante l’episodio. Grazie a loro è stato possibile separare i detenuti e riportare la calma nel carcere romano. Ma è evidente l’immobilismo dell’amministrazione penitenziaria nel gestire le costanti lotte tra bande presenti negli istituti penitenziari italiani. Donato Capece, segretario generale del Sappe, il Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria, ha sottolineato che questo scontro rappresenta solo l’ultimo episodio di una serie ininterrotta di violenze che avvengono quotidianamente dietro le sbarre. Per questo il sindacato ha annunciato eclatanti azioni di protesta per evidenziare il disagio lavorativo e sollecitare un cambiamento radicale, chiedendo una revisione delle politiche di vigilanza dinamica, la chiusura delle celle in maniera più selettiva e l’implementazione di pene più efficaci per i detenuti che commettono atti di violenza all’interno delle carceri.
D’altra parte, il sovraffollamento, le carenze strutturali e l’insufficiente presenza di personale qualificato mettono a dura prova sia i detenuti sia il lavoro della polizia stessa. L’episodio di violenza avvenuto a Regina Coeli rappresenta una chiara chiamata all’azione per le autorità competenti. È necessario affrontare con urgenza la questione del sistema penitenziario italiano, che deve promuovere la rieducazione e la riabilitazione dei detenuti stessi. Attualmente a Regina Coeli si contano anche 12 detenuti sottoposti a sorveglianza a vista su circa 1.000 presenze a fronte di un organico in forza di circa 360 unità. Difficile immaginare, in un tale clima di continue tensioni, che il carcere possa rappresentare un percorso di crescita e di formazione personale per chi ha sbagliato, ma che un giorno dovrà reinserirsi nella società a pieno titolo.