Quando Lagarde ha deciso in settimana di aumentare i tassi di interesse ho pensato che avesse purtroppo ragione da vendere. Spiega: “Dall’inizio della pandemia l’economia dell’area dell’euro ha dovuto affrontare una serie di shock inflazionistici che si sovrappongono. Dall’inizio del 2022, questi shock hanno aumentato il livello dei prezzi dell’11% e ci hanno portato a trasferire oltre 200 miliardi di euro al resto del mondo sotto forma di una tassa sulle ragioni di scambio”. Poi, il passaggio chiave: “In un ambiente come questo, la reazione naturale di ogni agente economico è quella di cercare di trasferire questi aumenti di prezzo ad altri attori dell’economia”.
Le aziende devono cambiare
Il capo della Bce non si perde in giri di parole. Ci sono due fasi in questo processo: “La prima fase è stata guidata dalle imprese, che hanno reagito al forte aumento dei costi dei fattori produttivi difendendo i loro margini e trasferendo gli aumenti dei costi ai consumatori”. Ovvero, prezzi al consumo piú alti.
La seconda accende la luce nella stanza rivelando il gioco a somma zero nella sua interezza, per cui se uno vince tutto, l’altro perde tutto. “I lavoratori hanno finora perso (…), vedendo grandi cali dei salari reali”. In pratica, carrello della spesa vuoto. Per compensare, io lavoratore chiederò un aumento salariale.
Questa spirale, definita “profitti – prezzi”, rischia di attivare un circolo vizioso tale per cui l’inflazione continua ad aumentare perché spinge le imprese a ulteriori aumenti dei prezzi, aggravando il giá negativo impatto sociale con il rischio di strozzare il sistema. Solo le aziende possono decidere di fermare questa spirale, sostiene Lagarde. Per cui se non cambia il loro comportamento, le cose non cambieranno mai.
Innovare i modelli di business
Si pone dunque un tema piú ampio e di cui questo giornale si è fatto meritoriamente promotore da tempo. Siamo andati attraverso una serie di crisi, ultima quella energetica, che hanno avuto un grande impatto sul fronte dei costi di produzione. Tuttavia, finché le aziende non decidono di innovare radicalmente i propri modelli di business cominciando a pensarsi come parte (e non al centro) di un ecosistema piú ampio, quindi mettendo da parte loro sullo stesso piano i diritti degli shareholder e del top management con quelli degli altri stakeholder – cioè di tutti coloro grazie ai quali ogni azienda può continuare a esistere – non si vede all’orizzonte niente altro se non un’economia atrofica in cui una sempre piú esigua minoranza continuerá a stare sempre meglio, mentre la stragrande maggioranza sempre peggio.
Ed è qui che, volenti o nolenti, il sistema mostra di avere il fiato corto perché non prende in adeguata considerazione che il mercato è solo una parte, seppur vitale, della societá. Anzi, proprio per tutelarne la funzione di stabilizzatore sociale che gli è propria, è necessario smettere di rendere prioritarie le ragioni speculative ed estrattive alla base di molte scelte e cominciare invece a pensare a modi nuovi di creare valore per la collettivitá, nel lungo periodo.