venerdì, 22 Novembre, 2024
Esteri

Nei panni del popolo russo

Non c’è pace per il popolo della Russia.

Nel 1917 la rivoluzione di un manipolo di intellettuali esagitati guidati da Lenin che si definiva avanguardia del proletariato, promise il paradiso contro l’inferno zarista: “da ciascuno secondo le proprie possibilità a ciascuno secondo i propri bisogni e nel frattempo una breve dittatura del proletariato.

Ci volle poco per capire che la dittatura era del partito su tutta la società, che non sarebbe stata breve ma perenne e che  la follia del comunismo avrebbe strozzato qualunque iniziativa individuale o di piccole comunità, sottomettendo tutto all’inefficienza di uno Stato Leviatano.

Milioni di russi furono uccisi per ordine di uno psicopatico  capo, ex seminarista, georgiano di origine e munito di robusti baffoni. Gli orrori  dei crimini commessi da Stalin contro il suo popolo fecero venire il voltastomaco ad un’intera classe dirigente comunista guidata da Krusciov che provò a  farli dimenticare trasferendoli su altri popoli (ungheresi, cecoslovacchi, polacchi).

Per 70 lunghi anni il popolo russo visse di indigenza, senza un briciolo di democrazia e libertà, annegando spesso il peso di questa vita buia e  insopportabile  nell’alcool o in qualcosa il cui tanfo fosse simile.

Poi venne Gorbaciov. Aveva capito che il regime ottuso, oscuro e totalmente statalizzato non poteva reggere. Innescò una rivoluzione che doveva aprire il sistema senza distruggerlo completamente. L’operazione destò speranza nel popolo russo ma riuscì solo in parte.

Un golpe della vecchia guardia e le confuse idee democratiche di Eltsin  aprirono una fase turbolenta di cui beneficiarono una mafia spietata, una manciata  di assatanati uomini di potere che si spartirono velocemente le enormi potenziali ricchezze del Paese. Il popolo russo ne trasse ben pochi benefici. Il caos aveva distrutto quelle poche miserabili certezze del vecchio regime e non aveva portato i benefici di una ricchezza che rimaneva concentrata in poche mani.

Eltsin lasciò il comando a Putin, in cambio dell’immunità per i suoi eccessi. E non erano solo quelli della vodka.

Putin ereditò un disastro. Decise che tutto il potere dovesse tornare al partito, cioè nelle sue mani.

Usò  i mezzi dei servizi segreti che ben conosceva per sbarazzarsi di avversari, di oligarchi troppo potenti e poco remissivi come Mikhail Khodorkovsky, fece capire alla mafia che non poteva pretendere di fare affari in barba allo Stato, e strinse un patto di ferro con il popolo russo: vi garantisco ordine, sicurezza, tranquillità, un po’ di servizi pubblici essenziali, ma lasciate fare a me. I russi gli credettero  e gli firmarono una cambiale in bianco che per 20 anni Putin ha utilizzato a suo piacimento.

Poi il 24 Febbraio Putin ha rotto il patto con il suo popolo. Lo ha trascinato in una guerra di cui nessuno sentiva il bisogno e che avrebbe portato lutti alle famiglie, sacrifici economici enormi, emarginazione della Russia, distruzione delle speranze di un’intera generazione, l’ennesima beffa e umiliazione per un popolo orgoglioso e fin troppo paziente. La trattativa-resa di Putin  con Prigozhin ha segnato la fine di quel restava del mito di un autocrate capace di risolvere i problemi. Putin ne ha creati talmente tanti che ora è prigioniero dei suoi errori.

E il popolo russo?

Continua a soffrire.

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