Stando ai dati del XX Rapporto Osservasalute 2022, curato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane che opera nell’ambito di Vihtali, spin off dell’Università Cattolica, presso il campus di Roma, la salute degli italiani è in serio rischio, colpita da cattivi stili di vita e poca prevenzione, nonché da un invecchiamento irrefrenabile della popolazione che vede, in assenza di una quota sufficiente di nuovi nati (nel 2021 i nati sono stati poco più di 400 mila, 4.500 in meno rispetto al 2020), l’età media degli italiani superare i 46 anni. L’età media del Bel Paese supererà i 50 anni tra meno di 30 anni, quando con pochi bambini diverremo un popolo di anziani e adulti attempati. Tutto ciò rischia di entrare in rotta di collisione con un sistema sanitario sempre più fragile e sotto-finanziato, specie se lo si confronta con i sistemi sanitari dell’Unione Europea. Questa nuova edizione di 628 pagine è frutto del lavoro di 225 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano che operano presso Università, Agenzie regionali e provinciali di sanità, Assessorati regionali e provinciali, Aziende ospedaliere e Aziende sanitarie, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco, Istat. I dati parlano chiaro, nel 2022 la spesa sanitaria pubblica si è attestata a 131 miliardi (6,8% del PIL), la spesa a carico dei cittadini a circa 39 miliardi (2% del PIL). I confronti internazionali evidenziano, nel 2020, che la spesa sanitaria dell’Italia, a parità di potere d’acquisto, si è mantenuta significativamente più bassa della media UE-27, sia in termini di valore pro capite (2.609 euro vs 3.269 euro) che in rapporto al PIL (9,6% vs 10,9%). Il nostro Paese si colloca al tredicesimo posto della graduatoria dei Paesi UE per la spesa pro capite, sotto Repubblica Ceca e Malta e molto distante da Francia (3.807 euro pro capite) e Germania (4.831 euro), mentre la Spagna presenta un valore di poco inferiore a quello dell’Italia (2.588 euro). Germania, Olanda, Austria e Svezia sono i Paesi con la spesa pro capite, a parità di potere d’acquisto, più elevata, prossima o superiore ai 4.000 euro. Per la spesa sanitaria rispetto al PIL, l’Italia occupa la decima posizione insieme alla Finlandia. Francia e Germania sono i Paesi con l’incidenza più elevata, superiore al 12%; i confronti internazionali confermano che la spesa sanitaria in Italia, anche nel primo anno di pandemia, si colloca su livelli inferiori rispetto a quelli di altri importanti Paesi dell’UE (Francia e Germania) e al di sotto della media europea, sia in termini di valore pro capite (2.609 euro vs 3.269 euro) sia in rapporto al PIL (9,6% vs 10,9%). Il peso della pandemia si avverte con l’eccesso di mortalità registrato in Italia nel 2020 rispetto al periodo pre-pandemico, che è del +10,2%, tra i più elevati in Europa (anche se il dato potrebbe essere in realtà l’effetto di una sotto-notifica dei decessi COVID-19 negli altri stati membri), superato solo da alcuni Paesi come Spagna e Polonia (rispettivamente 11,0% e 13,2%). La media dei Paesi UE-27 è pari a +5,7%. Nel 2021 l’eccesso italiano (+3,6%) scende sotto la media europea (+7,0%), che rimane elevata a causa dell’impennata nell’eccesso di mortalità nei Paesi dell’Est-Europa (tra questi Bulgaria con +32,3% e Polonia con +21,6%). L’elevato eccesso di mortalità registrato nei due anni di pandemia si è tradotto in una diminuzione della speranza di vita in quasi tutti i Paesi europei con una perdita in media di 1,2 anni di vita attesa nel 2021 rispetto al 2019. L’effetto complessivo sulle aspettative di vita è ancora negativo in tutti gli Stati membri dell’UE, ad eccezione di Lussemburgo (+0,1 anni), Malta e Svezia (stesso livello nel 2019 e nel 2021). L’analisi della mortalità evitabile riconducibile ai servizi sanitari (amenable mortality) – che nel periodo 2018-2019 è pari a 63,98 per 100.000 mentre era 65,53 nel biennio 2016-2017-, mostra che, nonostante la diminuzione complessiva del dato, è ancora molto alta la quota di decessi attribuibili ai tumori e alle malattie cardiocircolatorie: infatti, il 70% dei decessi evitabili registrati negli ultimi 2 anni disponibili è dovuto, ai tumori maligni del colon e del retto (19,13%), alle malattie cerebrovascolari (17,96%), ai tumori maligni della mammella (16,88%) e malattie ischemiche del cuore (16,03%). Questi decessi si sarebbero potuti evitare se le condizioni che li hanno causati fossero state intercettate per tempo con le campagne di screening. I valori più bassi tra le regioni si registrano nella PA di Trento (46,42 per 100.000) e più alti in Campania (81,41 per 100.000). L’emergenza sanitaria per la gestione della pandemia da COVID-19 ha, infatti, lasciato il segno e si è tradotta, da una parte, in un ritardo e in una conseguente sostanziale riduzione dell’offerta dei programmi di screening organizzati da parte delle ASL e, dall’altra, in una riduzione di adesione da parte della popolazione, con il risultato che nel 2020 si osserva il rallentamento del trend in crescita della copertura dello screening mammografico che si andava registrando negli anni precedenti (come accade per gli altri screening oncologici), in particolare il ricorso allo screening su iniziativa spontanea tende ad aumentare soprattutto nelle regioni meridionali.