E’ iniziato qualche giorno fa nel cosiddetto Trilogo il primo confronto sulla revisione della “Energy performance of building direttive” (Epbd) nel corso del quale le distanze tra Parlamento, Consiglio e Commissione Europea sono apparse ancora molto lontane persino sui temi per i quali si era trovato un minimo di accordo: Ispezioni periodiche degli impianti di riscaldamento, ventilazione, condizionamento, esperti indipendenti, sistemi di certificazione dei professionisti ed altri dettagli di poca importanza.
Il lavoro da fare perciò appare ancora tanto e richiede tempi lunghi, perché restano sul tappeto i temi più controversi: le prestazioni energetiche degli edifici, gli attestati di prestazioni energetiche, gli edifici da ristrutturare ecc. ecc.
In pratica vanno ancora fissati tutti gli obblighi della Direttiva che dovrebbero rendere gli edifici sia nuovi che già esistenti sempre più sostenibili dal punto di vista ambientale e stabiliti quali strumenti finanziari e fiscali dovranno predisporre i singoli Stati membri.
Il percorso, però, si presenta, oltretutto, molto accidentato, perché la presidenza di turno svedese del Consiglio, che guida i lavori del Trilogo, terminerà il suo mandato a fine giugno quando inizierà quella spagnola e pare non volersi intestare la conclusione del negoziato che è una vera e propria patata bollente.
La riqualificazione del parco immobiliare esistente, infatti, senza però introdurre adeguati meccanismi di finanziamento a livello europeo, risulterebbe una vera e propria tassa patrimoniale per la maggior parte dei cittadini europei, perché oltre tutti gli altri adempimenti, anche per conseguire solo gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera dovute agli impianti termici degli edifici, occorreranno altre migliaia di euro a famiglia.
E poi anche se si trattasse come previsto di affrontare solo il problema limitatamente ad una prima quota di edifici esistenti, che interessa il 15% del totale del parco immobiliare, che presentano le prestazioni peggiori, si tratterebbe di circa 230.000 immobili pubblici e non residenziali e 1,8 milioni di abitazioni residenziali private.
Questo significa che ogni anno, e fino al 2033, dovranno essere ultimati oltre centinaia di migliaia di interventi di efficientamento energetico su singoli edifici per un costo che si aggirerà intorno a 40 miliardi di euro per gli edifici residenziali e 19 miliardi per tutti i rimanenti.
Un obiettivo talmente ambizioso da essere praticamente irraggiungibile senza un sistema di incentivi e di strumenti finanziari adeguati, che non potrà mai essere raggiunto con le sole disponibilità economiche dei singoli proprietari.
L’esperienza dei risultati ottenuti con il Superbonus (2.900 interventi su interi edifici in media di anno, tra il 2018 e il 2020) dimostra che è impraticabile l’obiettivo che si è posto l’Europa per il 2050, che verrebbe completata non prima di 3.800 anni.
E’ del tutto evidente, quindi, che c’è bisogno di un piano di azione che sappia rendere realizzabili questi obiettivi velleitari in interventi concreti. Occorre perciò dotarsi di un piano da attuare in tempi brevissimi, che, accanto alle necessarie risorse pubbliche, preveda un sistema di finanziamenti accessibili alle famiglie.
Come si ricorderà l’assemblea plenaria del Parlamento europeo aveva espresso il suo voto a metà dello scorso marzo, varando norme meno vincolanti rispetto a quelle che sono a vaglio del Trilogo. Ciononostante economisti ed esperti del settore ritengono tali proposte improponibili ed inapplicabili sopratutto nel nostro paese.
Proprio nei giorni scorsi Franco Bernabé e Alberto Clò, al Festival dell’Economia di Trento, hanno accusato l’attuale Esecutivo europeo di «fondamentalismo ecologico» e di «bulimia regolatoria». In particolare Bernabè, manager in passato di Eni, che è oggi presidente di Acciaierie d’Italia, ha detto: «Per la transizione i tempi non possono essere quelli dettati dalla Ue Non si può banalizzare tutto dicendo “si può fare domani”… “servono prospettive di medio termine, fissare obblighi compatibili con i tempi industriali, che sono veloci ma richiedono comunque pianificazione”.
Dal canto suo in un’intervista rilasciata a “La Verità”: Alberto Clò ha sparato ad alzo zero dicendo “non vedo l’ora che Ursula von der Leyen e il commissario Frans Timmermans vadano a casa, perché li ritengo i maggiori responsabili di quanto sta accadendo”… “Mi riferisco al furore ecologista che ha infettato Bruxelles, a questa smania di legiferare di continuo senza verificare la fondatezza economica e la sostenibilità di obblighi che alla fine colpiscono sempre i ceti più poveri. Il tutto senza avere un minimo di rispetto per i principi democratici: per cui dall’oggi al domani una famiglia media italiana si trova a dover sostituire la caldaia o ad efficientare casa. Bene, efficientare casa può voler dire, su un immobile di 100 metri quadrati, spendere 60-70 mila euro”.
Tutti questi dati e queste affermazioni verranno corroborate e documentate nel prossimo numero della Rivista “Energia” diretta dallo stesso Alberto Clò, nella quale si leggerà: “Generalizzando ogni famiglia interessata dalla direttiva case green dovrebbe sostenere un costo di circa 22.000 euro, con un risparmio sulla bolletta di circa 1.000 euro l’anno”. Una batosta, perciò, a cui saranno sottoposti i nuclei medio bassi. “questi macro dati mettono in luce la difficoltà per una famiglia nel sostenere un costo che avrà mediamente dei tempi di ritorno superiori ai 15 anni”.
Per rispettare i dettami Ue sarebbe necessario avviare ogni anno, per l’intera durata dei 10 anni, circa 880.000 cantieri, più del doppio di quelli aperti fino a febbraio 2023 in occasione del Superbonus (385.000).
L’applicazione della Direttiva avrebbe, complessivamente un costo di circa 200 miliardi per il primo step (tutti in classe E) e di 365-420 miliardi se si decidesse di arrivare direttamente in classe D, con 8,8 milioni di edifici interessati pari a 18,8 milioni di abitazioni.
Se questa non è una vera e propria patrimoniale per tutte le famiglie italiane, cosa sarebbe?
Proprio per questa impraticabilità della Direttiva, oltre alle continue prese di posizione, sia da parte dei tecnici del settore che della cultura scientifica, anche la politica con tutti i partiti della maggioranza di Destracentro sono contrari a questo provvedimento.
Ed ecco perché invece Verdi e Sinistra, sempre sensibili a bastonare piccoli proprietari e risparmiatori, sono tutti molto favorevoli alla tassa green.