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Jerome Powell, presidente della Fed
Jerome Powell, presidente della Fed

L’inflazione Usa al 4% fa sperare anche l’Europa

mercoledì, 14 Giugno 2023
1 minuto di lettura

La terapia drastica della Federal Reserve sta dando ottimi risultati. L’inflazione che a luglio 2022 era al 9,1 & è scesa al 4% E questo senza provocare sconquassi sull’occupazione che resta tonica negli Stati Uniti. Dopo 10 aumenti consecutivi dei tassi, Jerome Powell potrebbe prendersi una pausa e lasciar così respirare anche la Bce che si è messa ad inseguire i tassi Usa con rialzi vorticosi, forse troppo accelerati stando anche all’opinione espressa dal Governatore della Banca d’Italia Visco.

Se la Fed dovesse fermarsi, le mosse di Lagarde potrebbero essere più prudenti anche perché in Europa gli effetti di rialzi così rapidi non sono gli stessi che si verificano negli Usa, che hanno una struttura economica molto flessibile. Il rischio è che, oltre a frenare la domanda interna, un eccessivo ritmo di aumenti possa avere anche effetti boomerang, non influendo particolarmente sull’inflazione ma creando, ad esempio aumenti consistenti negli affitti, nel costo dei mutui oltre che nei prestiti alle famiglie a le imprese.

È proprio il costo dell’indebitamento delle imprese quello che preoccupa di più e che grava come una pesante ipoteca sulla possibilità di mantenere una crescita ancora significativa in Europa e di evitare sia un aumento ulteriore dei prezzi al consumo sia una riduzione della produzione.

L’inflazione nell’area Euro è al 6,1% dopo il picco del 10,1% registrato a Novembre 2022. Dopo sette rialzi consecutivi dei tassi della Bce, almeno altri due sono attesi. Ci si augura che siano moderati e non ispirati dalla fretta che in questo contesto non è un’ottima consigliera e potrebbe appesantire il costo dell’indebitamento degli Stati che in Europa è cresciuto molto e che se no è supportato da uno sviluppo dell’economia rischia di avvitarsi su se stesso

Per quanto riguarda l’Italia, per ora non ci sono segnali gravi di allarme. L’occupazione cresce, aumentano le persone che cercano lavoro e questo significa che c’è maggiore ottimismo e anche più richiesta di occupati. Peraltro cresce di più l’occupazione a tempo indeterminato il che riduce l’area del precariato. Ma bisogna stare attenti: i lavoratori più qualificati e più richiesti dalle aziende possono contrattare salari più alti e contratti stabili. Per gli altri il rischio è che la forbice si allarghi peggiorando condizioni già poco soddisfacenti. Per questo servono politiche di formazione molto più attive.

Giuseppe Mazzei

Filosofo, Ph.D. giornalista, lobbista, docente a contratto e saggista. Dal 1979 al 2004 alla Rai, vicedirettore Tg1 e Tg2, quirinalista e responsabile dei rapporti con le Authority. Per 9 anni Direttore dei Rapporti istituzionali di Allianz. Fondatore e Presidente onorario delle associazioni "Il Chiostro - trasparenza e professionalità delle lobby" e "Public Affairs Community of Europe" (PACE). Ha insegnato alla Sapienza, Tor Vergata, Iulm e Luiss di cui ha diretto la Scuola di giornalismo. Scrivi all'autore

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