giovedì, 26 Dicembre, 2024
Cultura

Nastri d’Argento ’23: Bellocchio e Moretti in pole ma i due film non convincono

Rapito di Marco Bellocchio e Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti, sono i film che hanno ottenuto le maggiori candidature ai Nastri d’argento, che saranno consegnati martedì 20 Giugno a Roma nell’arena del Maxxi.

Se il film di Bellocchio racconta di una vicenda nota su cui nel 1996 è stato pubblicato un libro, Prigioniero del Papa Re, di David Kertzer e, più recentemente, Il caso Mortara di Daniele Scalise, da cui è tratto il film, omettendo molte verità per spirito anticlericale, quello di Moretti, dove Moretti uno e trino parla di Moretti in un turbine di  autoreferenzialità, in riferimento all’insurrezione ungherese, sia pure nell’ottica legittima della finzione, offre una lettura epidermica e a tratti fuorviante.

Poco prima che l’estensione dello Stato pontificio fosse ridotta drasticamente dall’Unità d’Italia, nelle Romagne, il bambino ebreo Edgardo Mortara, apparentemente in punto di morte, fu battezzato di nascosto dalla giovane domestica cattolica, in servizio presso la famiglia dei suoi genitori. Venutone a conoscenza, nel 1858 l’Inquisitore della città di Bologna ordinò di sottrarlo con la forza alla famiglia perché fosse educato secondo la dottrina cattolica. Pio IX approvò. In seguito, Edgardo Mortara divenne sacerdote e si attivò per la conversione degli ebrei.

Mentre Edgardo cresceva nella fede cattolica, il potere temporale della Chiesa stava per terminare. Tale episodio sembrava proprio essere l’emblema del cambiamento storico, nonché un piatto succulento per Cavour e Napoleone III che non amavano la Chiesa. Pio IX, invece, era molto preoccupato per l’ormai imminente fine dello Stato pontificio, soprattutto perché convinto che l’unione tra potere temporale e potere spirituale portasse grande beneficio ai suoi sudditi, e imporre con la forza la “salvezza” del piccolo Mortara gli sembrò un dovere in quel momento.

Un film non è un’opera di storia, e Bellocchio mostra un aspetto umanamente importante della vicenda: Pio IX si affezionò sinceramente ad Edgardo Mortara, ma non fa capire  come gli eventi resero  il Papa prigioniero di una concezione errata circa l’uso della forza materiale per imporre un bene spirituale.Bellocchio sembra attribuirne la colpa al cattolicesimo stesso e non solo  all’uomo Pio IX.

Tuttavia oggi un caso Mortara non potrebbe più ripetersi perché nessun cattolico approverebbe il rapimento di un bambino ebreo battezzato in articulo mortis. All’epoca di Pio IX nello Stato pontificio si praticava la pena di morte, oggi la Chiesa cattolica è in prima linea nel chiederne ovunque l’abolizione.

In Rapito si ignora che è la fede stessa a cambiare i credenti, sono loro a cambiare non essa. Sono gli esseri umani ad evolversi. I dogmi sono i medesimi ma vengono meglio compresi di quanto lo fossero un secolo fa. Muovendosi tra horror e dramma esistenziale costruito su immagini potenti, Rapito è portato avanti da Bellocchio come una storia di identità negata.

Lo stesso Mortara affidò al suo Memoriale “Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX”, parole di difesa per Pio IX denunciando le strumentalizzazioni subite da parte liberale, e confessando come non si sia mai sentito privato della propria identità, semmai sempre attratto dal cristianesimo grazie alla presenza della domestica.

Nanni Moretti invece scivola sulla questione insurrezione ungherese. Il protagonista di “Il sol dell’avvenire” straccia con un gesto simbolico il ritratto di Stalin, e interpreta ingenuamente la rivolta del popolo ungherese come un moto d’indipendenza patriottica e la sanguinosa repressione messa in atto dai carri armati sovietici come un tragico errore dello stalinismo. Moretti inoltre, soprassiede sul fatto che le dissociazioni in realtà ci furono, e coinvolsero nomi di autorevoli dirigenti e intellettuali (da Sapegno a Calvino e Silone) che furono  subito messi a tacere dall’ortodossia dominante.

Moretti rievoca frangenti storici che soprattutto in Italia sono stati affrontati  da Indro Montanelli  ne “I sogni muoiono all’alba” e in Europa dall’ungherese di Màrta Mészàros ne “L’uomo di Budapest”.

Eppure esistono racconti e rivisitazioni di scontri cruenti, esecuzioni sommarie, summit segreti, sequestri, deportazioni del periodo della rivoluzione ungherese che si presterebbero bene a intricate storie sconosciute per il grande schermo.

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