sabato, 29 Marzo, 2025
Politica

La parabola del populismo

Il 4 marzo di due anni fa le forze populiste incarnate dal M5 Stelle e dalla Lega ottenevano un grande successo elettorale. 3 mesi dopo davano vita ad un Governo che destava grandi preoccupazioni in tutti gli ambienti internazionali, diplomatici, politici e finanziari, per le sue stravaganti idee che suonavano come una minaccia all’euro, alla stabilità dell’Europa e al già precario stato di salute di un’economia come quella italiana appesantita da un enorme debito pubblico.

Dopo un anno, le due forze politiche di governo registravano un primo scossone: alle elezioni europee la Lega raddoppiava i voti, il M5 Stelle quasi li dimezzava. Ma insieme si attestavano sempre oltre il 50%. In Agosto, al culmine di un’escalation di propaganda, Salvini scatenava la crisi di governo puntando al colpo grosso per andare ad elezioni anticipate, certo di poter governare da solo.

Doveva essere il trionfo del nazional-populismo e invece la crisi si rivelò la prima battuta d’arresto del populismo. Il cambio di maggioranza segnava la spaccatura nel fronte comune: i 5 Stelle restavano al governo e la Lega passava all’opposizione. Ma non si trattava solo di questo. Accettando di formare il governo con un partito “tradizionale” come il Pd, i seguaci di Grillo imprimevano una prima sostanziale correzione di rotta alla loro impostazione basata sull’antipolitica, su mille ambiguità a proposito di euro ed Europa, su una serie di “NO” e in genere, su una retorica sloganistica che aveva sempre aizzato gli animi, fomentato il risentimento, fatto promesse mirabolanti incurante delle esigenze concrete di scelte di governo.

Insomma il M5 Stelle nel Governo Conte2 era già meno populista del passato. Salvini ha pensato di poterne approfittare e di esasperare le proprie posizioni cercando così di attrarre verso di sé i massimalisti disorientati dalle scelte di Di Maio. Il gioco ha funzionato fino a quando Salvini non ha deciso, per la seconda volta in 5 mesi, di giocarsi il tutto per tutto nelle elezioni regionali dell’Emilia Romagna per dare la spallata a Conte e andare alle urne. Ma anche questa volta il capitano solo al comando ha sbagliato i conti ed ora appare come un uomo solo allo sbando, con nuvole giudiziarie di vario tipo all’orizzonte.

È questa la seconda e più grave battuta d’arresto del populismo che ha dimostrato di non attrarre quella fascia di elettorato moderato senza della quale non si conquista la maggioranza necessaria per governare. E questa seconda battuta d’arresto è ancor più netta se al flop della guerra lampo di Salvini si somma il tonfo elettorale del M5 Stelle.

Si può dunque affermare che la sbornia populista sta cominciando a passare e che dopo qualche inevitabile contorsione viscerale un po’ più di lucidità mentale sta tornando in certi settori della politica italiana?

In un certo senso si, ma è presto per dire che il populismo sia sulla via della sconfitta finale.

Dei colpi di coda ci potranno essere in quelle frange dei 5 Stelle che si illudono di riacquistare un’identità riprendendo la retorica del Vaffa e del proporsi come angeli contrapposti a demoni. Ma difficilmente questa componente barricadera potrà riconquistare la guida di un Movimento che deve cercare il proprio spazio politico altrove, in una maggiore serietà e concretezza di impegno rigoroso nel governo e non nelle predicazioni di Di Battista.

Dove il populismo sicuramente comincerà ad arretrare è nella Lega che ha sperimentato due volte in 5 mesi che l’esagerazione, lo straparlare alla pancia della gente, lo scadimento di toni, linguaggi e metodi potrà funzionare in altri Paesi ma non in Italia dove ci annoia presto delle messe in scena e delle urla ripetitive che non portano risultati concreti e si preferisce rapidamente un ritorno alla moderazione.

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