Se gli anni sessanta e settanta del novecento sono stati caratterizzati dall’orgoglio afro-americano, oggi si può tranquillamente sostenere che gli anni venti del nuovo millennio sono caratterizzati dall’orgoglio asiatico-americano. Lasciata alle spalle tutta la narrazione post-Pearl Harbour, autentica lettera scarlatta per più di una generazione di asiatici nati e cresciuti negli Stati Uniti, oggi l’avvento delle piattaforme streaming, unitamente all’incremento delle piattaforme social e dei canali musicali di nuova generazione, ha finalmente sdoganato una realtà qualitativamente presente da anni ma tenuta nell’oblio più assoluto. Attualmente, i mass media a stelle e strisce si tuffano in profondità nella psiche delle persone asiatico americane invischiate in una esperienza universale: la rabbia della strada, senza soffermarsi inutilmente nelle spiegazioni sulle sfumature culturali dell’identità. Questo è stato reso possibile in quanto i creatori asiatici americani e delle isole del Pacifico hanno raggiunto un punto in cui non sentono necessariamente di doverlo fare. I loro prodotti sono interpretati da un cast tutto asiatico, rappresentando le loro famiglie comodamente integrati nelle realtà in cui vivono. Una proliferazione di film e programmi televisivi, negli ultimi anni, ha chiarito che gli asiatici americani non stanno più inseguendo l’opportunità di essere semplicemente inclusi. I narratori della diaspora stanno definendo sempre più la cultura tradizionale mentre creano i propri spazi alle proprie condizioni, senza sentire il bisogno di contestualizzare le loro storie per le masse. Le loro produzioni ruotano intorno a sentimenti di rabbia, dolore e risentimento, con trame che includono pezzi dell’esperienza asiatico-americana. “Il modo in cui sono gestiti questi prodotti sono un esempio di come non occorra contestualizzare o spiegare eccessivamente la nostra cultura per gli spettatori al di fuori della comunità asiatica americana – ha affermato Seo-Young Chu, professore associato di inglese al Queens College nel Queens, a New York – Ho apprezzato la rappresentazione strutturata, stratificata e vivace di complessi personaggi asiatici americani le cui vite interiori fanno rima con la mia. Come persona asiatico-americana che lotta con la rabbia, lo stress, il risentimento, l’indebitamento, il trauma generazionale, l’ideazione suicidaria e la pressione di sorridere con grazia anche mentre si tollerano i maltrattamenti, trovo questi prodotti risonanti, sembrano rappresentare parti di me che non erano mai state rappresentate prima”.
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