I presidenti di Confesercenti, De Luise e Coldiretti, Prandini, premono sull’acceleratore sulle riforme di previdenza e lavoro, con una richiesta al premier Giorgia Meloni. “Occorre accelerare sulla nomina
dei Commissari Inps e Inail individuando figure di alto profilo che abbiano piena conoscenza e competenza su attività e strutture”. A mettere fretta ai vertici delle due Confederazioni è il fiume carsico di due riforme chiave necessarie alle imprese che attraversano particolari difficoltà con la carenza di manodopera, anzianità del personale, aumento di tassi e banche che restringono i prestiti, l’inflazione e la corsa dei prezzi.
Commissari e riforme da fare Per Coldiretti Ettore Prandini e per Confesercenti Patrizia De Luise, Inps e Inail rappresentano “strutture complesse da cui dipendono la previdenza e l’assistenza per milioni di
lavoratori, pensionati ed imprese. Per questo”, sottolineano, “auspichiamo la nomina di Commissari che abbiano maturato significativa esperienza in questi settori. Figure che dovranno essere in grado di
dare continuità in questa fase transitoria e di gettare le basi per un riordino complessivo della governance ed il rilancio degli Istituti”.
Previdenza, crisi di un sistema
La sortita di Confesercenti e Coldiretti cade in un momento difficile per le incertezze sul futuro del sistema pensionistico italiano.
L’ultimo Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al cambio dei vertici dei due istituti rimodellando anche la durata degli incarichi, che diventano di quattro anni. Tuttavia in particolare per l’Istituto di previdenza il presidente uscente Pasquale Tridico non ha mancato di tornare a sottolineare le difficoltà economiche dell’Ente. In particolare la tenuta dei conti dell’Istituto, con 22 miliardi in più previsti per il 2023 per ulteriori esborsi. Spese maggiori mentre restano al palo l’adeguamento delle retribuzioni e dei versamenti. In altri versi si accentua lo squilibrio tra entrate ed uscite, situazione che potrebbe essere sintetizzata con la presenza di troppi pensionati e pochi lavoratori. Il sistema come sottolinea Tridico ha un gap tra le entrate contributive e la spesa per le prestazioni che aumentano. Di conseguenza le riforme sono in salita, con una gittata temporale ancora da definire e, per dirla con le parole del presidente uscente “una situazione che non potrà reggere ancora a lungo”.
Riflessione per certi versi analoga è quella del ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, che osserva: “non esiste una riforma delle pensioni che sia compatibile con la nostra situazione demografica”. Il Paese
infatti invecchia, mentre le imprese fanno fatica a trovare manodopera. Gli ultimi dati sono inoltre sconfortanti: in 39 province il numero dei pensionati ha superato quello dei lavoratori.
Prima famiglie e lavoratori
Il “cantiere” previdenza tuttavia non potrà rimanere inoperoso per troppo tempo, il Governo ha lasciato intendere che la riforma sarà affrontata a fine estate, dopo che saranno definite le risorse da mettere in gioco. Quanti speravano, sindacati in testa, che con il Documento economico e finanziario e poi con il Decreto lavoro, varati dal Governo arrivasse l’attesa svolta è rimasto deluso. L’esecutivo del premier Meloni e del ministro delle Finanze Giorgetti punta sulla prudenza dei conti senza formulare passi affrettati. La scelta è di mantenere nel perimetro delle risorse solo famiglie e imprese. Si punta su chi lavora, sulle nuove assunzioni e progetti di rilancio come il Piano nazionale di ripresa.
Aspettando settembre
Il ministero del Lavoro ha comunque espresso con la Ministra, Marina Calderone e il sottosegretario Claudio Durigon, la volontà da questa primavera a settembre, di riscrivere le regole per l’accesso alla pensione. La proposta è partite da 41 anni di contributi senza tener presente l’età d’uscita. Scelta che non dispiace ai sindacati che però chiedono soluzioni anti precariato per i giovani, una copertura previdenziale dello Stato per i contratti discontinui, un ampliamento della platea dei lavori usuranti. I sindacati e le Associazioni di categoria puntano ad una riforma che garantisca una maggiore flessibilità in uscita.
Poche risorse e lite su Opzioni donna
Proposte che si scontrano con la parte economica. Sul piatto finora ci sono come previsto dalla legge di Bilancio, solo 4 miliardi di euro, una cifra modesta per gli impegni da prendere. Il nodo risorse potrebbe
essere sciolto con l’Aggiornamento al Documento di economia e finanza che sarà a fine estate. Se ci saranno miliardi in più l’atteso “tesoretto” allora la riforma potrà decollare. I soldi serviranno anche
per aumentare le pensioni minime e quelle di invalidata, scelte già decise dal Parlamento. Infine il capitolo Opzione donna, che si trascina dallo scorso anno, così come le polemiche delle opposizioni che hanno
sollecitato il Governo a non toccare le norme più elastiche e in favore delle lavoratrici. Uscita anticipata, con il ricalcolo contributivo dell’assegno, a 58 anni d’età – 59 per le lavoratrici autonome – e 35 anni di contributi.
Con la legge di Bilancio invece sono state ridimensionate queste opportunità e, secondo alcuni calcoli, solo un centinaio di lavoratrici sono riuscite a passare nelle strette maglie della nuova Opzione donna.
Il Governo finora non ha deciso se ristabilire le vecchie e più gestibili regole di uscita, oppure, cancellare la misura. In entrambi i casi le opposizioni sono in insorte accusando la maggioranza di voler cancellare i benefici. A lanciare l’accusa è l’ex ministro del lavoro, Andrea Orlando del Pd, “il modo in cui l’avete scritta in questa legge di bilancio è un modo per toglierla senza dirlo”.