Più il tempo passa e più evidenti appaiono le ragioni della seconda spedizione del Marziano a Roma: i politici e gli accademici del suo pianeta vogliono capire come giochi il decorso del tempo sulla razionalizzazione dei processi istituzionali in altri luoghi del sistema solare.
Hanno dunque chiesto al loro concittadino Kurt di verificare cosa sia cambiato sulla terra – e in particolare in Italia – negli ultimi 73 anni, verificando in che misura i processi di aggregazione degli Stati in ordinamenti superstatali possano aver condizionato i relativi cambiamenti.
Su Marte debbono però avere una particolare idea della riservatezza, perché il viaggiatore si è mostrato sempre evasivo sulle ragioni del suo viaggio, ma – purtroppo per lui – gli approfondimenti raggiunti nelle nostre conversazioni appaiono più eloquenti di una confessione e l’interesse da Lui manifestatomi in ordine alla sentenza della Corte Europea sulle concessioni demaniali marittime è la miglior prova a sostegno del mio convincimento.
Il 20 aprile u.s., infatti, la Corte del Lussemburgo (Sent. Terza Sezione, in causa C-348/22) ha dichiarato incompatibile, con la c.d. direttiva Bolkestein, il regime vigente in Italia per tale specie di concessioni: almeno nella parte in cui prevede la possibilità di un loro rinnovo automatico, secondo quanto stabilito dall’articolo 37 del Codice della Navigazione che, a sua volta, contempla una procedura di valutazione comparativa degli aspiranti concessionari solo nel caso in cui siano presentate più domande di rilascio della concessione stessa, attribuendo però un diritto di preferenza al suo originario titolare che – in tal modo, nel pensiero della Corte – verrebbe a sottrarre l’arenile in concessione alla concorrenza tipica dei beni in libero mercato.
Naturalmente, di tale sentenza ognuno di noi può pensare quello che preferisce; ma Kurt – improvvisandosi, ancora una volta, investigatore – ha scoperto che la decisione del Giudice Europeo, pur fondata sulla interpretazione della direttiva Bolkestein, è in stridente contrasto con quanto affermato dallo stesso Frits Bolkestein, nel 2018, in occasione di un’audizione davanti al Parlamento italiano.
Ecco le Sue parole testuali: “per quanto mi riguarda le concessioni balneari non sono servizi, ma beni; quindi la direttiva sulla libera circolazione dei servizi non va applicata ai concessionari delle spiagge”.
La questione sembrava dunque chiudersi lì, ma la Commissione Europea non ha condiviso il parere del suo ex Commissario; tanto meno lo hanno condiviso i nostri giudici nazionali, per cui il destino dei titolari di quelle concessioni potrebbe sembrare ormai segnato.
Ma poiché il diavolo fa le pentole, ma non sempre i coperchi, ecco che la sentenza europea ha riacceso il dibattito sulla stessa legittimità della direttiva Bolkestein, perché non approvata all’unanimità, pur trattandosi di un atto normativo non direttamente destinato alla liberalizzazione del mercato delle concessioni, ma piuttosto all’armonizzazione dei diversi regimi vigenti nei vari Paesi d’Europa: un tal genere di direttive richiede infatti il voto unanime dei Paesi membri e non la sola maggioranza qualificata.
Su questo punto – obiettivamente insuperabile – il ragionamento della Corte risulta assai poco convincente, ma ancor meno convincente appare la compatibilità delle previsioni contenute nella direttiva Bolkestein con la tutela di diritti fondamentali (la proprietà, l’affidamento, la libertà di impresa ecc.) riconosciuti come meritevoli di tutela privilegiata nell’ordinamento europeo e nella sua Carta dei diritti fondamentali che – sul piano delle fonti – è esattamente equiparabile alle disposizioni dell’articolo 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che è alla base di tutta la vicenda ed a termini delle quali risulterebbe ostativa, alla proroga automatica delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico ricreativo, la sola circostanza per cui tali concessioni “presentano un interesse transfrontaliero certo”, appunto inteso come interesse all’abbattimento di ogni barriera che si possa frapporre all’unicità dello spazio economico dell’Unione.
In presenza di una tale situazione, appare ancora possibile resistere con qualche possibilità di successo alla procedura di infrazione che la Commissione volesse avviare per costringere l’Italia a rinunciare ai rinnovi delle concessioni attualmente in vigore nei termini previsti dal Codice della Navigazione.
Ancora più interessante appare però – per assicurare adeguata tutela ai diritti degli attuali concessionari – l’avvio di azioni giudiziarie, individuali e/o collettive, di questi ultimi nei confronti delle autorità demaniali, facendo appunto valere la violazione dei diritti fondamentali che abbiamo prima richiamato e che beneficiano – come tali – di una doppia tutela: tanto quella offerta dal diritto nazionale, che quella assicurata dalla Carta Europea dei Diritti Fondamentali.
Una volta tanto, Kurt si è dichiarato d’accordo con me sulla circostanza che la battaglia degli imprenditori delle spiagge, a tutela dei loro diritti e interessi, è ben lungi dall’esser perduta.
Il vero nemico dei concessionari risulta dunque la loro eventuale inerzia avverso la decisione del giudice europeo, magari sull’erroneo presupposto di essere arrivati al capolinea della loro lunga battaglia.