Il Mediterraneo è sempre stato un mare che, anziché dividere i popoli, li ha avvicinati. È stato un ponte tra popoli di religioni, culture e lingue diverse, che ha sempre invitato – e a volte costretto – a interagire e a conoscersi, nel bene e nel male.
Il palcoscenico di millenni di storia che, in un’epoca in cui il Sud del Mondo è sempre più fluido, mutevole e esso stesso causa di cambiamenti, si apre a un futuro segnato da rapide e profonde trasformazioni.
Sin dall’antichità le migrazioni dei popoli mediterranei da una costa all’altra caratterizzano le decisioni geopolitiche dei diversi Stati che si affacciano sul “Mare Nostrum” con seri problemi per l’accoglienza e per le nuove generazioni di extracomunitari che dopo un lungo viaggio straziante approdano in Europa sperando in un futuro migliore e spesso naufragano durante il tragitto.
Le ONG, le Istituzioni nazionali e internazionali e anche Papa Francesco che a Lesbos nel 2021 ha chiesto di “Fermare questo naufragio di civiltà, il Mediterraneo non sia più un freddo cimitero senza lapidi” provano a non voltare le spalle alla realtà, che é plurale e chiede di essere tutti più solidali.
Per questo Papa Francesco chiede che finisca “il continuo rimbalzo di responsabilità, e ripete guardandoli, come già aveva fatto a Cipro, i vostri volti, i vostri occhi ci chiedono di non girarci dall’altra parte, di non rinnegare l’umanità che ci accomuna, di fare nostre le vostre storie e di non dimenticare i vostri drammi”.
Da un’analisi del prof. Maurizio Ambrosini sociologo italiano, noto per i suoi studi sulle migrazioni, la decennale problematica politica delle Migrazioni nel Mediterraneo è ancora una questione irrisolta e le ripetute crisi politiche derivanti dagli arrivi di persone in cerca di asilo, le condizioni drammatiche dei viaggi e le tragedie umanitarie che li colpiscono hanno contribuito a formare una rappresentazione delle migrazioni largamente condivisa e riecheggiata nella comunicazione pubblica e nel discorso politico.
Secondo un rapporto presentato da UNHCR e MMC, migliaia di rifugiati e migranti subiscono gravi violazioni dei diritti umani durante i viaggi verso la costa mediterranea dell’Africa per poi raggiungere l’Europa arrivando anche a Lampedusa e in Italia.
Il reportage fotografico etico sull’Immigrazione Mediterranea è stato sviluppato negli anni a Palermo, il capoluogo della Sicilia che spesso è la prima ad accogliere i flussi migratori. In molti casi i rifugiati vengo accolti da Fondazioni, Associazioni, Missioni e Istituzioni nazionali e internazionali del terzo settore.
Il principio della fotocronaca è quello di esprimersi con le immagini piuttosto che con le parole. La narrazione e la fotografia documentaristica evidenziano le caratteristiche etno-antropologiche e di accoglienza umanitaria di un luogo, in questo caso Palermo, con gli strumenti della ricerca diretta e con “immagini che, come tessere di un mosaico, cercano di offrire una composizione possibile armonica ed esaustiva” che è il palcoscenico di millenni di storia; il Sud dell’Europa, un ponte con l’Africa.
La vita quotidiana di Palermo è un continuo flusso multiculturale dove i diritti umani vengono garantiti attraverso strutture come la Missione di Speranza e Carità fondata dal frate laico Biagio Conte che da trenta anni si occupa di aiutare bisognosi, rifugiati politici di qualsiasi età e provenienza.
Nei quartieri popolari e storici della Città sono stati istituiti orfanotrofi e asili nido per bambini extracomunitari che crescono nella società occidentale e che possono portare nel tempo mutamenti culturali negli Stati che li accolgono come l’Italia e l’Europa.
Nella 90^ Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2004 con il tema “Migrazioni in visione di Pace” Papa Giovanni Paolo II ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla mobilità umana forzata a causa della guerra e della violenza, del terrorismo e dell’oppressione, della discriminazione e dell’ingiustizia, purtroppo sempre presenti nella cronaca quotidiana. Ci stiamo, purtroppo, abituando a vedere il peregrinare sconsolato degli sfollati, la fuga disperata dei rifugiati, l’approdo con ogni mezzo di migranti nei Paesi più ricchi in cerca di soluzioni per le loro tante esigenze personali e familiari. Ecco allora la domanda che gli suscita un quesito molto importante per il tema dell’immigrazione: come parlare di pace, quando si registrano costantemente situazioni di tensione in non poche regioni della Terra? E come il fenomeno delle migrazioni può contribuire a costruire fra gli uomini la pace?
Se si favorisce un’integrazione graduale fra tutti i migranti, pur nel rispetto della loro identità, salvaguardando al tempo stesso il patrimonio culturale delle popolazioni che li accolgono, si corre meno il rischio che gli immigrati si concentrino formando veri e propri “ghetti”, dove isolarsi dal contesto sociale, finendo a volte per alimentare addirittura il desiderio di conquistare gradualmente il territorio.
Quando le “diversità” si incontrano integrandosi, danno vita a una “convivialità delle differenze”. Si riscoprono i valori comuni ad ogni cultura, capaci di unire e non di dividere; valori che affondano le loro radici nell’identico humus umano. Ciò aiuta il dispiegarsi di un dialogo proficuo per costruire un cammino di tolleranza reciproca, realistica e rispettosa delle peculiarità di ciascuno. A queste condizioni, il fenomeno delle migrazioni contribuisce a coltivare il “sogno” di un avvenire di pace per l’intera umanità.