L’espressione “lavoro agile” (o smart working), non individua una nuova tipologia di rapporto di lavoro (ulteriore rispetto a quelle già previste), essa bensì individua, bensì, una particolare modalità di adempimento della prestazione lavorativa.
Sebbene il fenomeno avesse trovato diffusione anche anteriormente alla sua disciplina positiva, esso ha trovato un definitivo assetto normativo grazie alla legge 22 maggio 2017, n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.
In particolare, l’art. 18 della legge in esame definisce il “lavoro agile” come “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”. Detta disciplina, fra l’altro, si applica, in quanto compatibile, anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle PP.AA. di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (art. 18, comma 3, della Legge).
In particolare, “il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa” (art. 18, comma 2). Ancora, come ha chiarito dalla Circolare INAIL n. 48 del 2017, i lavoratori in smart working hanno diritto alla tutela prevista in caso d’infortuni e malattie professionali, anche in relazione alle prestazioni rese all’esterno dei locali aziendali e nel tragitto tra l’abitazione e il luogo prescelto per svolgere la propria attività.
Ora, per quanto possa indubbiamente riconoscersi alla modalità di lavoro agile una certa “poli-funzionalità” (ad es., nel miglioramento del work-life balance, nell’esigenza di evitare spostamenti superflui, etc.), la stessa legge individua lo scopo dello smart working, precisando che la relativa disciplina è volta ad “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” (art. 18, comma 1).
Come anticipato, la modalità di lavoro agile è frutto di un accordo tra le parti (art. 18, comma 1) ed, al riguardo, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha raggiunto, in data 7 dicembre 2021, un’intesa con le parti sociali, sul primo “Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile” per il settore privato.
Si è parimenti anticipato che la modalità di lavoro agile è astrattamente in grado di perseguire una pluralità di funzioni; la pandemia da COVID-19 ha indubbiamente accentuato il ricorso al lavoro agile, in ragione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale (e, in specie, di circolazione), adottati al fine di prevenire e circoscrivere il diffondersi del contagio.
L’incentivazione del lavoro agile si è tradotta in una congerie di misure, volte essenzialmente ora alla semplificazione, ora alla deroga espressa (e una tantum), delle previsioni della Legge (così, ad es., i DPCM del 23 febbraio 2020 già snellivano l’iter procedimentale in tema di stipula degli accordi individuali).
L’esaurirsi della fase pandemica ha ripristinato il vigore delle regole “ordinarie” previste dalla Legge, anche se il legislatore non ha rinunciato a dettare ulteriori regole di taglio “emergenziale” (o, quanto meno, transitorio).
In base alla disciplina in vigore alla data odierna, l’art. 9, commi 4-ter e 5-ter della legge 24 febbraio 2023, n. 14, ha prorogato sino al 30 giugno 2023 la possibilità di ricorrere al lavoro agile per i lavoratori c.dd. “fragili” e per i genitori di minori di età inferiore ai quattordici anni.