Il “Piccolo è bello”, non piace alle banche e nemmeno all’Europa. Le piccole e micro imprese trovano ostacoli ovunque, dinieghi alle invocazioni di ottenere una linea di credito. In questo piano inclinato di rapporti, continuano a diminuire in modo inesorabile i prestiti bancari. Anche la Banca Centrale Europea in materia di erogazione del credito ha rafforzato vincoli e strettoie. Uno scenario ad alto rischio che spinge chi ha necessità tra le braccia degli usurai.
Prestiti in picchiata
Tra il 2021 e il 2022 gli impieghi vivi alle aziende con meno di 20 addetti sono scesi di 5,3 miliardi di euro (-4,3 per cento). “Lo stock complessivo dei prestiti erogati a questo segmento di aziende è passato da 124 a 118,7 miliardi di euro”, sottolinea l’Ufficio. studi della società di analisi socio economiche Cgia di Mestre, “Stiamo parlando dei prestiti concessi dagli istituti di credito alle imprese di piccolissima dimensione. Una platea di micro imprenditori costituita in massima parte da esercenti, piccoli commercianti, artigiani e lavoratori autonomi”.
Così chiudono le botteghe
Le piccole imprese , dopo le illusioni sulla “flessibilità” che permetteva di adeguarsi alle pieghe e cambiamenti di mercato, oggi non sono più “appetibili”, per il sistema bancario. Sono incappate, inoltre nella disinvolta concorrenza on line e annaspano sotto il peso dei costi fissi.
L’elaborazione fatta dalla Cgia è impietosa. “E’ un problema non di poco conto”, sottolinea la società mestrina, “Queste micro realtà, tradizionalmente sottocapitalizzate e a corto di liquidità, da tempo non sono più appetibili commercialmente dal sistema bancario. Pertanto”, osserva l’Ufficio studi, “la stretta creditizia venutasi a creare – associata all’esplosione del commercio on line, alla storica concorrenza praticata dalla grande distribuzione, al peso delle tasse e dei costi fissi – ha contribuito a diminuire in misura significativamente preoccupante il numero delle botteghe e dei negozi di prossimità presenti nel Paese”. Una scia di chiusure iniziata molto tempo fa. Un effetto domino “che si ritorce contro le famiglie, che vedono peggiorare la qualità della vita dei luoghi in cui vivono”, sottolinea la Cgia, “ma anche contro gli istituti stessi, che hanno perso correntisti e quote di mercato non trascurabili”.
Le restrizioni della Bce
La Cgia, tuttavia, avverte, “sarebbe sbagliato accusare le banche di essersi ‘disinteressate’ del popolo delle partite Iva. Il mondo del credito”, puntualizza l’Ufficio studi, “purtroppo, nell’ultimo decennio ha subito molte restrizioni imposte dalla Banca Centrale Europea in materia di erogazione del credito. Questi vincoli hanno aumentato enormemente la soglia del merito creditizio, allontanando tantissimi piccoli imprenditori dai canali ufficiali di approvvigionamento della liquidità”.
Si espande la rete degli usurai
E tra questi piccoli imprenditori, non sono nemmeno pochi quelli “caduti” nella rete tesa dagli usurai. “Un fenomeno, quello dello ‘strozzinaggio’, molto carsico e sempre più spesso controllato dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso che”, osserva la Cgia, “nei momenti di difficoltà, sono gli unici soggetti che dispongono di ingenti quote di denaro pronte ad essere immesse nel mercato economico”.
Romagna, la crisi inaspettata
Se non ci fossero delle evidenze in cifre, non sarebbe credibile, che proprio la Romagna è l’area più penalizzata dalla stretta.
“Sempre tra il 2021 e il 2022, le regioni che hanno subito le contrazioni più importanti sono state il Veneto con il -6,24 per cento (pari a -821,2 milioni di euro), l’Umbria con il -6,49 per cento (-137,1 milioni), il Friuli Venezia Giulia con il -6,54 per cento (-177,8 milioni) e, in particolar modo, la Liguria con il -7,12 per cento (-214,4 milioni di euro). A livello provinciale, invece, la chiusura dei rubinetti del credito ha “colpito”, soprattutto Savona con il -7,92 per cento (-61,7 milioni di euro), Venezia con il -7,93 per cento (-173,8 milioni) e Sondrio con il -8,32 per cento (-59,8 milioni). Le realtà più colpite sono state due province della Romagna: Forlì-Cesena che ha visto diminuire il flusso dei prestiti del 9,38 per cento (-135,5 milioni) e Ravenna con il -10,36 per cento (-135,2 milioni)”. Delle 107 province italiane monitorate dall’elaborazione dell’Ufficio studi della Cgia, solo cinque presentano un risultato anticipato dal segno più. Sono:!Biella (+0,10 per cento), Caltanissetta (+0,14), Sassari (+1,49), Sud Sardegna (+1,61) e Nuoro (+3,98).
Discesa iniziata 10 anni fa
Il calo dei prestiti bancari alle piccolissime imprese è comunque un fenomeno che è iniziato un decennio fa e si è interrotto solo nel biennio 2020-2021. L’Ufficio Studi dell’’Associazione artigiani e piccole imprese, spiega: “Questa breve inversione di tendenza è avvenuta grazie al governo Conte bis che, all’indomani dello scoppio della pandemia, istituì un Fondo di garanzia pubblico per promuovere la liquidità alle Pmi colpite dall’emergenza Covid. I dati sono i seguenti: se al 31 dicembre 2011 gli impieghi vivi alle imprese con meno di 20 addetti ammontavano a 171 miliardi (pari al 18,8 per cento del totale erogato alle imprese italiane), successivamente abbiamo assistito a una caduta verticale che si è fermata agli inizi del 2020 (116,3 miliardi di erogato pari al 18,1 per cento del totale). Nel biennio richiamato più sopra, lo stock ha invertito segno”, evidenzia la Cgia, “e ha raggiunto i 124 miliardi alla fine del 2021 (pari al 17,4 per cento del totale)”. Nell’ultimo anno, una volta esauritosi l’effetto “spinta” ascrivibile all’istituzione del fondo di garanzia pubblico, i prestiti sono tornati a scendere, toccando, al 31 dicembre 2022, la quota di 118,7 miliardi (pari al 16,9 per cento del totale erogato alle imprese).
Il trend prosegue negativo
Infine l’andamento dei prestiti sempre alle piccolissime imprese su base trimestrale, rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, “pur tenendo conto dei prestiti cartolarizzati e le cessioni diverse dalle cartolarizzazioni”, fa infine presente l’Ufficio studi, “le riclassificazioni, le rettifiche di valore intervenute nel periodo e le variazioni di cambio il trend è speculare. In altre parole, negli ultimi 10 anni solo 7 trimestri su 40 monitorati hanno presentato una variazione positiva”.