In Italia nel 2021 i nuovi nati sono scesi a 400.249, un calo del 25% rispetto al dato registrato solo dieci anni prima. Ecco perché il piano Adamo, che ha l’obiettivo di costruire una piattaforma aperta capace di connettere i rappresentanti della sfera pubblica e di quella privata, per provare a invertire la tendenza negativa della natalità con strumenti a supporto della genitorialità, prevede di raccogliere proposte concrete dal mondo delle aziende, metterle a fattor comune in occasione della prossima edizione degli Stati Generali della Natalità in programma a maggio e condividerle, in seguito, con le istituzioni, attraverso la costruzione di una proposta di legge.
Il progetto, lanciato a Milano alla presenza del ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Maria Roccella e dell’assessore allo Sviluppo Economico e Politiche del Lavoro del Comune di Milano Alessia Cappello , nasce dall’analisi della situazione attuale e delle possibili ripercussioni future attraverso “Adamo”, il cortometraggio provocatorio che proietta lo spettatore nel 2050, in un Paese in cui si percepisce che nel prossimo futuro la scelta di avere un figlio rischia di diventare ancor più complicata, quasi unica. Presente alla presentazione anche Valore D, che porta la voce delle aziende e delle buone pratiche su come le organizzazioni facilitano la conciliazione Famiglia-Lavoro e il rientro dei genitori nel suo posto di lavoro. Secondo la ricerca “Figli: una ricchezza onerosa” commissionata da Plasmon e condotta da Community Research & Analysis sotto la direzione di Daniele Marini (Università di Padova), il 53,7% degli italiani vivono il contesto attuale come altamente incerto e problematico, tale da incutere timore per il futuro (37,3%). Nonostante il poco rassicurante quadro economico e sociale, più di un italiano su due (57,4%) ha almeno un figlio e un terzo di loro vorrebbe avere altri bambini (34,3%).
Fra quelli che non hanno figli (42,6%) invece, il 40,4% vorrebbe averne uno. Ciò che fa riflettere maggiormente, però, riguarda le ragioni che spingono gli italiani a non avere figli, legate prevalentemente alla sfera economica (i costi) e a quella lavorativa (timori di perdere il lavoro) e organizzativa (carenza di servizi per le famiglie) indicate da più di un italiano su due (53,5%). Meno rilevanti, invece, la sfera personale (40,9%) e quella legata alla salute (36,4%). Analizzando il dettaglio delle ragioni che rientrano nella sfera economica e lavorativa, secondo gli italiani, i costi da sostenere per mantenere i figli risultano essere la motivazione principale che spinge le persone a non fare figli (69,2%).
Particolarmente degna di nota è anche la paura di perdere il lavoro o avere conseguenze professionali negative (60,2%) e la carenza di servizi per le famiglie con figli (55,1%). “Il coinvolgimento delle imprese e la messa in rete delle buone pratiche di welfare aziendale è uno dei capisaldi del nostro piano strategico per la natalità. Non si può pensare di contrastare la crisi demografica senza creare un ambiente lavorativo favorevole e accogliente per le donne. Stiamo lavorando a un importante piano per la maternità, perché è la libertà delle donne di essere madri senza rinunciare alla propria realizzazione personale e professionale la chiave per uscire dall’inverno demografico. Prevediamo misure di accompagnamento per le mamme, una rete di servizi capillari, un welfare di prossimità che è anche un investimento sul futuro, un codice deontologico per le imprese.