Secondo il direttore del CREA Cerealicoltura e Colture Industriali Nicola Pecchioni, il mais e il grano sono tra le colture che maggiormente risentono delle mutate condizioni imposte dal cambiamento climatico, e in particolare dei periodi siccitosi prolungati e delle carenze o costo elevato delle risorse idriche.
“Per questo motivo il futuro della coltura nel nostro Paese, soprattutto quello del mais e del grano, sarà sempre più legato alla vocazione dei territori, alla disponibilità della risorsa idrica e all’agricoltura di precisione”, afferma Nicola Pecchioni. Il calo delle superfici coltivate, scese al minimo storico di 564 mila ettari, e il pessimo andamento climatico dell’annata, caratterizzato da una siccità estiva senza precedenti, hanno ridotto la produzione italiana ad appena 4,7 milioni di tonnellate di mais da granella, ovvero alla stessa produzione del 1972, con gravi problemi di qualità del prodotto stesso.
In base ai primi dati Istat, infatti, i rendimenti unitari sono crollati mediamente del 23%, scendendo da 10,3 t/ha a 8,3 t/ha, ma erano stati pari a 112 t/ha nel 2020, con cali di resa fino al -32% in Veneto e al -25% in Lombardia, tra le maggiori regioni maidicole, e punte del -43% a Rovigo e del -46% a Perugia. L’andamento negativo di queste colture ha coinvolto tutti i maggiori produttori europei di mais con un calo complessivo pari a 21 milioni di tonnellate nella sola Unione europea (-29%), con riduzioni che, tra i principali fornitori del mercato italiano, arrivano al 50% in Romania, al 57% in Ungheria e al 75% in Moldavia, mentre in Ucraina le ultime stime segnalano un calo superiore al 50%. Solo la Spagna, con 11,5 t/ha sia pure in calo dell’11%, presenta rese superiori a 10 t/ha, mentre la produzione è aumentata, grazie all’incremento delle superfici, soltanto in Polonia, +16%.