La questione iraniana sta diventando una slavina che non solo travolge il proprio popolo, ma che costringe il mondo intero a guardare nella sua direzione. Tutto questo però non basta, occorre capire, in fretta, cosa fare contro un regime folle e assassino pronto a spremere fino all’ultima goccia di sangue del suo popolo per nutrire e mantenere la propria egemonia. Intanto proliferano le iniziative a sostegno del popolo iraniano, dalla presa di posizione dell’ANAC (Associazione Nazionale Autori di Cinema) che ha organizzato una manifestazione a sostegno del popolo iraniano, a cui hanno aderito alcuni tra i più illustri personaggi del nostro cinema, dalla scelta di Jean-Paul Gaultier di far suonare Baraye di Shervin Hajipour durante la sfilata
per la collezione primavera/estate 2023, fino alla recente “adozione” di condannati a morte e prigionieri iraniani da parte di 87 parlamentari italiani, che, accogliendo la richiesta degli iraniani in Italia e seguendo l’esempio già percorso da Germania e Olanda, possono intercedere presso il governo iraniano per la liberazione della persona che hanno scelto di rappresentare.
Noi, dal canto nostro, per cercare di raccontare la verità di quanto accade e non lasciare soli nell’abisso i nostri fratelli iraniani, abbiamo raggiunto un nostro contatto a Teheran che ci ha pregato di “raccontare la verità”, perché, insiste, “quello che arriva a voi europei è un decimo dell’orrore che stiamo subendo qui”. Ha paura mentre parla, come tutti gli eroi, che non sono coloro che non temono nulla, ma coloro che fanno la cosa giusta e tremano di terrore mentre la fanno.
“La moneta continua a crollare” continua, “il mio stipendio è ridotto ad un quarto del suo valore in pochi mesi. C’è sciopero dei benzinai e devo andare al lavoro a piedi, attraversando posti di blocco dove sei interrogato come un criminale, strattonato, sbeffeggiato che ti va bene se non ti mettono in carcere. La domanda se i Pasdaram sono terroristi è sbagliata, noi viviamo nel terrore, tutto il nostro sistema è terrorista.
Racconta quello che sta subendo la gente comune, fame, freddo, polvere da sparo. Siamo tutti in prigione. Un mio amico, vecchio compagno di studi, è stato portato in carcere due mesi fa, non sappiamo più niente di lui, ho paura persino di chiamare la famiglia al telefono per chiedere informazioni, questo è l’inferno.” Mentre parliamo la linea si interrompe, il regime controlla le connessioni e le abbassa per controllare e isolare la popolazione. Lo risentirò? Non lo so, con questo peso sul cuore scrivo questo pezzo, mentre arriva la notizia di quello che sembra un attentato contro l’ambasciata dell’Azerbaigian in Iran: lo ha reso noto il ministero degli Esteri dell’Azerbaigian in un comunicato: “C’è stato un attacco armato contro l’ambasciata azera in
Iran. Un uomo armato di kalashnikov ha ucciso il capo della guardia della missione diplomatica.
Altre due guardie dell’ambasciata sono rimaste ferite. stata avviata un’indagine.”. L’Iran, che ospita milioni
di azeri, accusa da tempo il suo vicino di fomentare il sentimento separatista sul suo territorio. Raccontare davvero cos’è la prigione per chi manifesta il proprio desiderio di libertà è impossibile senza poggiare sulle testimonianze di chi quell’inferno lo conosce, per questo riportiamo le parole di Sephide Gholain, una giovanissima giornalista freelance arrestata per aver preso parte alle proteste sindacali nella sua città e che, con un coraggio inumano, ha utilizzato un congedo per malattia per denunciare con i suoi scritti cosa accade in carcere, cosa significa tortura. Questo le è valso altra condanna, l’accusa di essere lei una spia terrorista e il diniego delle fondamentali cure mediche.
È ancora in carcere. Viva? Morta? Non lo sappiamo. Ma possiamo onorarla leggendo con attenzione le sue parole, facendo nostro il suo grido di aiuto. Sapevo che avrei affrontato un inferno dimenticato da Dio quando sono stata portata in questa prigione l’anno scorso”, ha scritto Gholian, che era stata mandata alla prigione di Bushehr all’inizio di marzo dalla prigione di Evin, Teheran. “Ma non potevo nemmeno immaginare la brutalità che regnava in questa prigione. Dire che sono terrorizzata non basta davvero a esprimere ciò che provo. Sento qualcosa di caldo fuoriuscire dal mio corpo.
Resto completamente muta, persino quando mi picchiano non riesco neppure a gemere. Sono certa che
uccideranno Esmail e che questa oscurità non avrà mai fine… la macchina si ferma. Dalle voci attorno a me capisco che hanno buttato a terra Esmail e lo stanno trascinando via. È morto? Sono morta, io?
D’improvviso riattaccano dalla mia parte e mi colpiscono nuovamente. Mi accusano: «Hai insudiciato l’auto con il tuo sangue…La mia perdita di sangue è molto intensa. Sono bendata e non posso vedere bene dove
vado. So solo che mi guidano per un declivio fino a una stanza. Sto tremando, e imploro che mi lascino vedere una guardia donna, ma in risposta mi urlano: «Una donna, e perché? Qui dentro ci muori. Sono
circondata solo da voci maschili, e questo mi fa tremare ancora di più.
È da stamattina che mi stanno insultando. Ho paura di essere insultata e picchiata di nuovo. La guardia mi spinge avanti reggendo il pezzo di cartone, che chiamano il «bastone». Il bastone mi mette paura, non
perché… Entro nella cella. Il mio corpo è coperto di lividi. Arranco faticosamente, la porta della cella si chiude alle mie spalle. Alzo la mia benda e vedo una donna con la stessa uniforme, il velo e la benda
sollevata dagli occhi. Una coperta le copre la parte inferiore del corpo. Dopo dieci ore di torture e di terrore, non appena la vedo sento come se tutto fosse passato. La abbraccio e, senza farci domande, singhiozziamo una nelle braccia dell’altra.” Sephide Gholain ha 27 anni oggi, da 4 è all’inferno e i suoi “DIARI DAL CARCERE” sono stati pubblicati in Italia da “Gaspari Editore”. Un libro da leggere come una Bibbia, dentro c’è tutto il male e tutto il bene di cui siamo capaci.