“Pur essendo di un temperamento ardente, vivace, e anzi sensibile alle attrattive della società, sono stato presto obbligato ad appartarmi, a trascorrere la mia vita in solitudine. E se talvolta ho deciso di non dare peso alla mia infermità, ahimè, con quanta crudeltà sono stato allora ricacciato indietro dalla triste, rinnovata esperienza della debolezza del mio udito. Tali esperienza mi hanno portato sull’orlo della disperazione e poco è mancato che non ponessi fine alla mia vita. La mia arte, soltanto essa mi ha trattenuto. Ah, mi sembrava impossibile abbandonare questo mondo, prima di aver creato tutte quelle opere che sentivo l’imperioso bisogno di comporre; il mio fisico tanto sensibile può, da un istante all’altro, precipitarmi dalle migliori condizioni di spirito nella più angosciosa disperazione. Essere costretti a diventare filosofi ad appena 28 anni non è davvero una cosa facile e per l’artista è più difficile che per chiunque altro. Dio onnipotente, che mi guardi fino in fondo all’anima, [che] vedi nel mio cuore e sai che esso è colmo di amore per l’umanità e del desiderio di bene operare. O uomini, se un giorno leggerete queste mie parole, ricordate che mi avete fatto torto; e l’infelice tragga conforto dal pensiero di aver trovato un altro infelice che, nonostante tutti questi ostacoli imposti dalla natura, ha fatto quanto era in suo potere per elevarsi al rango degli artisti nobili e degli uomini degni. Addio, non dimenticatemi del tutto, dopo la mia morte. Io merito di essere ricordato da voi, perché nella mia vita ho spesso pensato a voi, e ho cercato di rendervi felici. Siate felici”.
Con queste parole Ludwig van Beethoven scriveva una delle più belle lettere all’umanità di tutti i tempi. E come non riconoscere dentro le sue parole la ricerca di un appiglio, di una fonte, che fosse risposta e consolazione contro le avversità dell’esistenza? Chi può scrivere rivolgendosi a tutti gli uomini, senza aver intimamente rivolto spesso il pensiero a tutti gli uomini? Il suo slancio era onesto e profondo, curato e viscerale, come la sua arte. Beethoven è stato un genio assoluto, con lui, per la prima volta, vita e arte si identificano nel singolo autore. Lui è stato il musicista che ha interpretato la propria esistenza come una manifestazione soggettiva dell’opera d’arte. Se Mozart tende ad anticipare tale filosofia, scegliendo ad esempio, la libera professione e componendo alcune opere per sé, è solo con Beethoven che la soggettività dell’autore diviene totalizzante. Beethoven segna un nuovo inizio, superando la visione collegiale del 700, e l’individualità artistica si radica profondamente nell’esperienza biologica dell’autore. Ne sono esempio le sinfonie: Mozart ne scrisse 56, Beethoven soltanto 9. E non per ingenerosità, al contrario, per una ricerca di sé attraverso l’arte, per la volontà di lasciare un messaggio che attraversando e scuotendo il suo animo per venire a luce, potesse farsi lascito per l’umanità intera.
Questo suo sperimentare per se stesso, vivere crisi profonde, ridiscutersi, non è un modo di avvilupparsi su se stesso, ma fa di se stesso un testimone del dolore che condivide con l’umanità. Sa di essere un uomo tra gli uomini, di cui conosce le sferzate della sorte, per questa ragione la scelta del teatro Argentina di proporre al pubblico i dialoghi sinfonici è stato una sapiente scelta d’amore per il suo pubblico. Dialoghi sinfonici è un format originale in cui, durante l’esibizione, il Direttore, Maestro Germano Neri, interagisce con il pubblico guidandolo in un dialogo con l’orchestra sinfonica per scoprire i retroscena culturali e storici che si celano dietro ai suoni, raccontando aneddoti e fornendo nozioni che arricchiscono gli ascoltatori e li guidano alla comprensione. Il pubblico non si limita ad un mero ascolto passivo, ma diventa parte integrante dello spettacolo.
Con l’orchestra di Europa InCanto diretta dal Maestro Germano Neri e composta da 34 professori d’orchestra nell’ambito di Roma Capod’arte, grazie a Teatro di Roma e Teatro Argentina, abbiamo ascoltato la Sinfonia V op. 67 in Do minore di Ludwig van Beethoven, scoprendo il significato profondo che si cela dietro i 5 movimenti; è stata poi eseguita la Sinfonia VI op. 68 in Fa maggiore “Pastorale” in cui Beethoven lascia trasparire il suo profondo sentimento di ammirazione per la natura, da egli considerata come uno spettacolo da contemplare.
“La musica è un patrimonio di tutti e per essere fruita da tutti è necessario farla capire. Il modo più semplice per raggiungere questo obiettivo è spiegare come i compositori, all’interno del loro periodo storico l’hanno pensata e interpretata. Entrando in quell’atmosfera il pubblico finisce per innamorarsi del compositore e della sua musica” dice il Maestro Germano Neri. Il format Dialoghi Sinfonici rappresenta un gioiello di comunicazione e divulgazione dell’arte di rara qualità e intelligenza e tornerà con diversi appuntamenti nel corso dell’anno.