giovedì, 14 Novembre, 2024
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Italia 2023? Tende al sereno, ma ancora troppe nubi

È difficile fare previsioni economiche circa il nostro Paese nel 2023 perché sono tante le incognite che potrebbero pesare sulla crescita: dal prezzo del gas e dell’energia – i rincari dell’energia elettrica e del gas porteranno nel 2022 costi aggiuntivi di oltre 106 miliardi alle imprese e mediamente  più di 1.500 euro a famiglia – all’ inflazione in forte crescita, a fine anno prevista all’8,7% dalla Commissione europea, al conseguente aumento del tasso di sconto, effettuato a più riprese da parte della Bce per contenere l’incremento dei prezzi: l’innalzamento del costo del denaro attuato da Francoforte graverà per 15 miliardi sempre sulle nostre imprese in quanto determina una maggiorazione degli interessi sui prestiti erogati dalle banche alle medesime aziende.

Tuttavia, esistono dei segnali che fanno intravedere scorci di sereno. Innanzitutto, si guardi alle previsioni circa il Pil, stimato dall’Istat al 3,9% nel 2022, un dato sorprendente, superiore a quello della Cina – e c’è da chiedersi dove sarebbe arrivata la crescita se non si fossero manifestati gli effetti del cigno nero del Covid nel biennio 2019-20, che comunque, va detto, ha contribuito a fare uscire dal mercato aziende già in difficoltà. Al risultato positivo ha concorso l’export, che toccherà quota 600 miliardi nell’anno che sta per concludersi. Fondamentali sono state non solo la nostra migliore capacità “intrinseca” di export, superiore a quella di storici concorrenti come Francia e Germania, ma anche la domanda di made in Italy da parte degli Stati Uniti, la cui economia, a differenza di quanto avvenuto in Cina, ha continuato a tirare e con il valore dei nostri prodotti diventati vantaggiosi con il rafforzamento del dollaro rispetto all’euro. Consideriamo poi altri fattori, come la performance del turismo, che ha beneficiato di un clima favorevole fin a quasi novembre inoltrato. Tra i segnali “strutturali” che fanno ben sperare, ricordiamo il miglioramento della capacità produttiva delle aziende per il combinato disposto tra aumento dell’inflazione e livello degli stipendi invariati, che rende il costo del lavoro per unità prodotta (Clup) competitivo.

È però essenziale che il nuovo Governo, presieduto da Giorgia Meloni, faccia la sua parte;  consolidi la possibile ripresa e canalizzi il risparmio verso le unità produttive incentivando le aziende a ricorrere a forme di finanza alternativa (argomento trattato da queste colonne nel mio fondo del 7 dicembre scorso) e spingendo gli  italiani – che detengono una ricchezza finanziaria di oltre 5.200 miliardi, cresciuta di 1.700 miliardi dal 2011 al 2021 (fonte: Fabi) – a investire nel capitale delle  imprese, tramite lo sviluppo o l’istituzione di nuovi strumenti come i piani individuali di risparmio (Pir). Bisogna indirizzare le risorse verso opere strutturali, rendere la burocrazia più efficiente, utilizzare il fondo del Pnrr appieno per realizzare le riforme fondamentali per dare slancio alle imprese, ma senza aumentare le differenze tra occupati e non e tra Nord e Sud dell’Italia.

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