“Non vi è intelligenza senza emozione. Ci può essere emozione senza molta intelligenza, ma è cosa che non ci riguarda.” Lo scrisse Pound nei suoi Saggi letterari (i Literary Essays); ed ogni volta che ci ripenso, seppure nella sua semplicità, mi pare una considerazione straordinaria: nel senso che non ha proprio nulla di banale ed ordinario, appunto. Perché nei limiti delle nostre costruzioni semantiche e pure logiche della faccenda, siamo spesso portati a distinguere nettamente e dicotomicamente le due cose: l’intelletto e l’emotività.
L’EMOZIONE È MADRE DELL’INTELLETTO
Oppure siamo portati a pensare che il primo sia padre della seconda, mentre i ruoli dell’uno e dell’altra sono esattamente invertiti. È l’emozione ad essere madre dell’intelligenza e a generare nel loro più denso connubio, la sensibilità, l’acme di un climax emotivo e razionale al contempo. L’emozione è perciò allegoricamente il cavallo indomito, l’intelletto il cavaliere che ne modera gli istinti e che pure si avvale della sua forza; il cavaliere senza cavallo non può correre e sperimentare l’ebrezza vorticosa della corsa al galoppo, non può arrivare dove desidera e nel modo più forte – il cavallo da solo può invece correre, ma senza destinazione ed equilibrio, rappresentando un’emozione fine a sé stessa, priva dell’intelletto necessario per comprenderla e goderne realmente.
LA SENSIBILITÀ, CONNUBIO TRA INTELLETTO ED EMOZIONE
Tutto ciò che è pensabile dunque è anche esperibile emotivamente se non fattualmente, mentre l’emozione non ha necessariamente bisogno dell’apporto del pensiero: forse di un comando meccanico, dal cervello ai nervi, ma è tutt’altra questione rispetto all’intelligenza che l’accompagna, all’analisi compiuta dalla sensibilità, che è intelligenza emotiva e l’unica a poterne unire le facoltà; poter assaggiare, toccare, comprendere un’emozione tramite il suo esatto termine opposto: la razionalità.
L’INTELLIGENZA EMOTIVA COMPRENDE SÉ STESSA
È necessario dunque capire un’emozione? No, e sta proprio qui il significato di quanto espresse Ezra Pound. Comprendere ciò che si sente (il ‘to feel’ inglese) non è necessario, è vero, ma si rende essenziale per esserne sempre capaci, per sentire l’emozione con l’intensità della prima volta eppure dominarne i disequilibri senza farsene travolgere, per coltivare ciò che appartiene all’inconscio, per essere padroni di noi stessi e mai fantocci in balia della folle corsa di un cavallo.