L’Italia nella “palude”, finito nell’anonimo girone: “resto del mondo”. Eppure siamo il Paese con più opere d’arte, lo diciamo in televisione, ne facciamo un brand consolatorio, ma la realtà è diversa, molto diversa. L’Italia nel mondo dorato e “emotivo” e lussuoso dei mercanti e case d’arte ha un peso modestissimo, appena il 6%, contrattazioni che oscillano sui 300 milioni di euro e i 400 milioni di dollari, mentre la parte da leone la fanno Stati Uniti, Inghilterra e Cina che hanno in mano il mercato globale, ossia un valore complessivo di 67.4 miliardi di dollari.
In questo scenario l’Italia è marginale, d’altronde ci sono fatti che in parte ci confortano e in parte ci fanno capire il perché siamo nella palude, ultima notizia è la decisione della Francia di bloccare l’esportazione del “Cristo deriso”, l’opera di Cimabue considerato dai francesi “tesoro nazionale”, opera ritrovata nella cucina di un’anziana signora francese e venduto all’asta da Acteon nell’ottobre scorso per 24 milioni di euro, la cifra più alta mai pagata per un’opera medievale. “Per decenni”, ricorda il Guardian, “il quadro è rimasto appeso sul muro sopra ai fornelli di una cucina di Compiegne, a nord di Parigi, prima di essere notato dal responsabile di una casa d’aste che era nell’abitazione per valutarne il mobilio”. Se nella artistica Italia le compravendite d’arte sono ferme a poche case d’asta e a livelli economicamente bassi, nel resto del mondo le cose vanno a gonfie vele.
“Ma, soprattutto, lo scorso anno, ha segnato il secondo miglior risultato di sempre”, rilevano gli analisi di ‘Collezione da Tiffany, Come collezionare arte contemporanea e vivere felici’, “ dato che conferma, al di là di tutto, l‘ottimo stato di salute di questo settore economico che vede le aste pesare per il 46% e il comparto delle gallerie per il 54%. Ma in mano a pochissimi operatori. Basti pensare che su 296.550 realtà attive, il 50% del mercato è in mano a solo il 5% dei player”. USA, GB e Cina, da soli valgono per l’84% del mercato. Gli Stati Uniti hanno portato a casa il loro miglior risultato di sempre con un fatturato complessivo di 29.9 miliardi; il Regno Unito ha totalizzato, invece, 14.4 miliardi; mentre la Cina è sul terzo gradino del podio con un fatturato totale di 12.9 miliardi.
Insomma l’Italia ha come al solito molto da offrire, ma non riesce anche nel settore dell’arte, della compravendita delle opere, ad avere un ruolo da protagonista, “a dimostrazione di una difficoltà che, nonostante tutto, permane nel nostro Paese e riflesso di una situazione economica certamente complessa”, osserva ancora Collezione da Tiffany. Al di là delle riflessioni sulle centinaia di città d’arte italiane e tutto ciò che possono offrire in cultura e accoglienza, il mercato dell’arte nel 2018, secondo i dati forniti dalle principali case d’asta al Giornale dell’Arte, ammonta a 300 milioni 548 mila euro, risultato raggiunto dalle vendite di 514 aste, che ora si avvalgono dell’innovazione, una sessantina di aste sono state organizzate online, a dimostrazione di quanto le nuove tecnologie abbiano investito anche un mercato classico come quello dell’arte. “L’innovazione è diventata parte integrante dello scenario artistico contemporaneo”, osserva il sito ArteWireless, specializzato nella informazione, diffusione e divulgazione d’arte, “il dialogo tra il battitore e chi acquista al computer è costante, ma sono degni di attenzione anche gli scambi che avvengono totalmente online e in cui operano diverse realtà a livelli molto alti”. C’è per gli appassionati anche una classifica delle case d’arte che in Italia hanno avuto più successo.
La prima è “Il Ponte”, che ha toccato quasi 31 milioni di contrattazioni organizzando 26 eventi. La maison meneghina, nelle sale di Palazzo Crivelli, scenario dell’asta di Gioielli, “caratterizza per la presenza di rare pietre preziose, firme internazionali e collezioni provenienti da importanti famiglie italiane”, tra i gioielli venduti, il più costoso è un “Anello Wolfers Freres”, del valore di 750 mila euro. Seconda maison d’aste è la “Casa Pandolfini” con un fatturato di 28 milioni di euro, infine la Casa “Cambi” con 28 milioni di fatturato. Per gli appassionati di arte figurativa, le tre Case d’Arte hanno messo in vendita tre opere di Giorgio De Chirico: “Pericle” che è stato ceduto a 587.000 euro da Il Ponte, “Trophée” venduto a 613mila da Pandolfini, infine “Ettore e Andromaca”, battuto da Cambi per 262.500 euro. Interessante, per le sue declinazioni sociali, economiche, ed “emotive”, il report: “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione 2019”, realizzato dalla società di studi finanziari Deloitte.
“I fattori scatenanti”, emerge dalla ricerca, nell’acquisto di opere d’arte da parte dei collezionisti sono principalmente quello emotivo e quello sociale. Naturalmente anche il fattore finanziario sta diventando sempre più importante, sebbene solo una parte minoritaria dei collezionisti intervistati da Deloitte ha dichiarato di comprare arte o oggetti da collezione a fini speculativi, ovvero solo come forma di investimento. “Al contrario la larga maggioranza dei collezionisti accumula valore in beni che la coinvolgono emotivamente, ma allo stesso tempo intende aumentare, proteggere e gestire
il proprio patrimonio artistico”, osserva Deloitte, “Quanto evidenziato ha provocato un significativo incremento di domanda di una nuova tipologia di servizi professionali relativi
alla gestione e alla protezione del valore investito in arte”.
L’indagine di Deloitte e ArtTactic ha sottoposto sia ai collezionisti sia agli operatori di settore rispettivamente la domanda “Perché compra arte?”, “Perché i suoi clienti comprano arte?”.
Circa due collezionisti su tre hanno rivelato di comprare arte o oggetti da collezione un po’ per passione, un po’ per il loro valore. “Circa 9 su 10 affermano che i propri clienti acquistano arte e oggetti da collezione per passione, ma con una dichiarata attenzione agli aspetti legati all’investimento”.
A una domanda specifica legata ai valori emotivi che spingono il collezionista all’acquisto, l’85% dei professionisti delle Case d’asta hanno fatto presente, “che i propri clienti comprano arte e oggetti da collezione in primo luogo per il loro valore sociale, ovvero come simboli del proprio stile di vita. Il valore sociale associato all’acquisto dell’arte è un fenomeno in continuo aumento anche per stessa ammissione dei collezionisti, lo dichiara infatti il 63% degli intervistati”.
Oltre la metà racconta inoltre di considerare l’arte come un bene di lusso a conferma di quanto questa sia sempre più considerata un simbolo del proprio “lifestyle” di benessere, agiatezza, affermazione sociale e cultura nel segno di un nuovo “politicamente corretto”, naturalmente per ricchi.