Quanti sono i volti della violenza? Nella giornata di oggi la riflessione si fa più accesa, torna con forza la necessità di ribadire un’attenzione che ha bisogno di cura educazione e costanza per assolvere il suo compito: eradicare qualunque tipo di violenza contro le donne.
La violenza è un albero dalle mille fioriture, non è la fuoriuscita del sangue o il bianco del marmo funebre, a cui pure, sono purtroppo inaccettabile te consegnate troppe donne, a poter rispondere la verità su questa cruciale domanda, una domanda che se non è quotidiana non è sufficiente.
C’è violenza ogni volta che fa freddo, il freddo dato dai rapporti di potere.
C’è violenza quando non c’è ascolto, quando non c’è cura, quando non esiste presenza e attenzione all’altro.
C’è violenza quando si tradisce un patto d’alleanza. In amore, in coppia c’è violenza ogni volta che si agisce senza tenere conto dell’esistenza dell’altro.
Dove comincia la violenza l’amore finisce, come sole e luna, non è dato per natura pensarli contemporaneamente presenti. Nell’educazione esiste una violenza, ossia un germe, un modo, una visione, che viola la natura spirituale delle donne. Ce lo spiegava bene Simone De Beauvoir, che col suo libro “Il secondo sesso”, anticipò la questione femminile dicendo “donna non si nasce, lo si diventa. Il bambino afferra il mondo con le mani e con i sensi, non con il sesso.
Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo: è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto”. Il primo impegno di questa nostra società civile deve ripartire da questo necessario lavoro di educazione al dialogo e alla parità in termini anzitutto di emozioni, bisogni, dignità, sentimenti. Perché senza parità non c’è dialogo e senza dialogo non è possibile conoscere e tenere l’altro in eguale considerazione. Senza questi presupposti non potrà mai fiorire nessuna forza forte almeno quanto la violenza: l’amore, la più abusata e meno agita delle parole.
Se ci spostiamo di latitudine, in questa indagine, troviamo una catastrofe della dignità, della vita femminile, che, ora qua, ora là, in alcuni luoghi in modo persistente, fa un macabro scempio della stessa vita della donna. L’Iran è un esempio per tutti. Proprio a partire da questa riflessione, in un’ottica di sorellanza e soccorso, su cui c’è ancora tantissimo da lavorare, perché ancora troppo le donne continuano ad essere nemiche delle donne, insieme a Eliana Montanari, regista e interprete, abbiamo concepito uno spettacolo che vuole essere un ponte, un canto che si fa una voce unica, tra le varie forme di violenza che in Italia come e soprattutto in Iran distruggono la vita delle donne.
“Volo Roma-Teheran” è un immaginario dialogo tra donne sospese in un volo che non sappiamo se fisico o percettivo sopra le diverse macerie che la violenza maschile ha fatto delle loro vite. Lo spettacolo per questo viene diffuso contemporaneamente sia via radio che nella realizzazione dal vivo. A Rieti, per la giornata di oggi, andrà in scena presso ’Auditorium di Santa Scolastica, location voluta per richiamare il rapporto tra vittima e carnefice in collaborazione con l’Associazione “Il filo di Ana”.
Un estratto dello spettacolo sarà oggi mandato in onda su Radio Roma Capitale, sia su RadioSapienza, la radio universitaria dell’Università di Roma-La Sapienza nella trasmissione Post-It Cinema, condotta da Martina Polo e Miriam Palma. Per voi, per noi, per tutte le donne e tutti gli uomini, abbiamo scelto un estratto del testo: “Sono in frantumi e sono in frantumi quanto te. Anche tu sei un uomo frantumato, figlio di una mentalità distruttiva, che t vuole programmato per distruggermi, per distruggerti, per morire solo, per condannarmi a morire sola. Possiamo toglierci gli abiti, ma non le maschere, possiamo toglierci le vesti ma non le paure, possiamo toglierci le coperte di dosso per prenderci con forza e ribadire nella carne una vicinanza che in realtà è una distanza di anime, che gemono e gridano ognuna per conto proprio. Chi ha il coraggio di fermarsi in tutto questo? Chi ha il coraggio di prendere un vaso sbatterlo a terra, fare a pezzi questa inutile farsa di due nature disperate, interrotte, stuprate e vittime di ruoli che non dicono la verità? Chi fermerà la danza macabra del potere? Chi sceglierà sé stesso fino alla fine, chi non fuggirà più nell’altro, e si metterà in ricerca e sopporterà i morsi di una solitudine vera, feroce, inarrestabile, vertiginosa. Piuttosto che questa solitudine, che si ribeve, a piccoli sorsi, a rapidi tratti, che si stordisce di finta presenza. Fughe in altre pelli, in altre donne, per tornare a te, fughe dentro elmetti per non vedere che dovrebbe lasciarti andare, fughe dentro le fughe del pavimento, che si accumulano di polvere, rimorsi e rimpianti, quante cose non vissute, anno su anno, calendario su calendario. Chi sarei stata io da sola? Lui da solo chi sarebbe stato? Fughe! Cibandosi di altri, come strumenti, mezzi di bisogni da soddisfare, per trenta secondi di piacere nella carne, nella mente, nel pensiero…tutto falso, tutto falso, tutto falso…niente è vero. I manichini senza testa avevano ora una faccia tonda di cartone, poi i negozianti tagliarono anche le dita dei manichini e sostituirono le mani con stretti cilindri di plastica allungati. Senza sopracciglia, né orecchie, né naso, né occhi, per vedere, lingua per parlare, gambe per fuggire, mani per creare, consegnarono una donna finalmente giusta a un mondo buio e tetro.”