martedì, 17 Dicembre, 2024
Cultura

“Faith, Hope and Charity”, al Romaeuropa Festival trionfa il teatro necessario di Alexander Zerlin

Viene desiderio di alzarsi, portarsi sotto il palco e tendere la mano per essere soccorsi e tirati sulla scena dagli attori. Viene voglia di dire “sto affogando anch’io sotto questa pioggia” e sedersi a parlare delle proprie fragilità, dell’inevitabile povertà che si sperimenta vivendo.  Alexander Zeldin compie un piccolo miracolo di fratellanza con lo spettacolo “Faith, Hope and Charity”, andato in scena al Teatro Argentina per Romaeuropa Festival, in una prima nazionale in co-realizzazione con Teatro di Roma. Alexander Zeldin è stato assistente di Peter Brook e questo accostamento non oscura, al contrario rivela parte della forma mentis, su cui si innesta il genio personale, di questo giovane drammaturgo britannico che ha firmato la più intensa, alta e necessaria opera del Romaeuropa Festival finora osservata.

Parliamo di necessità non a caso, perché in tempi sempre meno tagliati secondo le trame dell’animo umano, come sostiene Ferruccio Marotti “esiste un teatro necessario, che conduce lo spettatore davanti allo specchio della sua anima”. “Faith, Hope and Charity” non è uno spettacolo che può essere guardato dalla rassicurazione di una poltrona di sala, perché fa cadere le maschere sociali, portando in un’altra dimensione, che ricorda allo spettatore la fragilità della condizione umana, che tutti ci riguarda. La storia che si dipana davanti agli occhi è quella di uno sparuto gruppo di persone che si ritrovano per mangiare un pasto caldo dentro un centro comunitario, che sarà presto chiuso per essere trasformato in hotel di lusso, e questo assurge, secondo la precisa volontà dell’autore, a simbolo perfetto dei nostri tempi. Sono i socialmente fragili i protagonisti di questa commedia delicata e potentissima, sempre attentata da battaglie impari, che si riuniscono per il pranzo di Natale. Intorno a quel tavolo, Hazel (una meravigliosa Llewella Gideon), che gestisce la mensa, cerca di tenere unita la piccola comunità di persone che si incontrano, si scontrano, tentano vicendevolmente di suturarsi ferite, cercano di stringersi in una familiarità che soccorra, in modo sempre claudicante, le reciproche perdite.

Tra attori professionisti e non, scelti dai centri di accoglienza dove il drammaturgo ha lavorato per oltre un anno, l’occhio del critico è sospeso, preso in ostaggio da un teatro che più che porre interrogativi pone accanto ai personaggi. Qui si rivela la grandezza del regista, attraverso un risultato finale che supera la volontà di riflessione sullo stato sociale dello stesso, riportando lo spettatore dove tutto ciò che è essenziale si stende tra il cuore umano e la magnifica ironia della vita. Povertà, incertezza, speranza, insufficienza, si sciolgono nel canto finale del coro improvvisato dai personaggi, in un canto che è fede e carità, che è carro trainante per lo spettatore, perché mentre la narrazione, essenziale, quotidiana, si dipana, non viene solo abbattuta idealmente la quarta parete, ma si realizza l’elisione di ogni distanza interiore tra esseri umani, tra mondo reale e mondo rappresentato.

Chi, guardando le pieghe del proprio cuore, può dire di non essere egli stesso lo spatriato, il disperato? Chi non ha perso, per un nonnulla, un affetto primario? Chi di noi non è quei personaggi danneggiati e traballanti? Gli ambienti, spogli e essenziali, della periferia urbana rimandano alla postura di Jacques Copeau, già maestro di Orazio Costa, di cui Zeldin perfettamente incarna la visione del teatro quale “unica forma di attività umana rimasta a parlare dell’uomo all’uomo, mediante la realtà dell’uomo”. “Faith, Hope and Charity” è il culmine di un linguaggio che il regista e scrittore ha sviluppato con la trilogia “The Inequalities”, e si conferma una scelta illuminata nell’offerta del Romaeuropa Festival, che aveva già ospitato il drammaturgo nel 2021 con “Love”. Alexander Zeldin, oggi associato al National Theater di Londra e all’Odéon di Parigi ha portato i suoi spettacoli in tutto il mondo e si conferma un autore caro al nostro presente, necessario al nostro futuro.

Foto di Maxime Bruno 

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