mercoledì, 18 Dicembre, 2024
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Cop27: i sei indicatori a cui dare risposte

È partito ieri il 27esimo vertice Onu sui Cambiamenti Climatici, la Cop27, che si terrà fino al prossimo 18 novembre a Sharm El-Sheik, in Egitto. Sarà un’edizione non facile, come d’altronde è non facile non tanto la ricerca di un accordo, quanto la massiccia adesione all’attuazione pratica degli accordi stessi (basti pensare agli Accordi di Parigi del 2015).  Quest’anno poi, entrano in gioco anche tematiche laterali, come i timori di una recessione globale, il caro energia e il rilancio delle energie fossili, tutte conseguenze della guerra in Ucraina

Per gli esperti di riscaldamento globale sono  sei gli indicatori chiave per misurare la reale portata dei cambiamenti climatici, e si possono sintetizzare in aumento della temperatura media mondiale, concentrazione del CO2 nell’atmosfera, livello degli oceani, contenuto energetico degli oceani, estensione delle superficie di ghiaccio e perdita di massa dei ghiacciai.

Come riportato dall’agenzia AGI, Il quotidiano francese Le Monde ha realizzato una serie di grafici sugli andamenti di queste sei voci, incrociando i dati rilevati dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), National Aeronautics and Space Administration, Berkeley Earth e University of Colorado (Usa), dal Met Office (Gb), Centre national d’études spatiales (Francia), European Organisation for the Exploitation of Meteorological Satellites e World glacier monitoring service (Onu).

Gli impegni pregressi e quelli improrogabili

La COP non è soltanto una grande kermesse di specialisti del clima, è anche e soprattutto un evento politico-diplomatico di primaria importanza e rappresenta un grande palcoscenico internazionale dove vengono rappresentati e stretti i delicati equilibri ed alleanze diplomatiche.

“Il nostro pianeta è sulla buona strada per raggiungere punti di svolta che renderanno il caos climatico irreversibile” ha detto il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. La volontà con cui Guterres aprirà i lavori è che è tempo di un patto storico tra economie sviluppate ed economie emergenti. Di 193 Paesi che si erano impegnati a ridurre le emissioni di CO2 solo 26 hanno adottato provvedimenti efficaci. Dopo un anno difficilissimo sullo scacchiere mondiale, addirittura con minacce di attacchi nucleari, c’è bisogno di uno sforzo più vigoroso da parte di tutti.

C’è poi  il tema della forbice dei Paesi Occidentali con i Paesi Emergenti: secondo dati Ocse, il tetto massimo dei finanziamenti del Nord del mondo è stato di 83,3 miliardi nel 2020, rispetto alla quota 100 miliardi probabilmente raggiunta nel 2023. Per molti analisti, ancora una volta l’Africa e i Paesi del Sud del mondo rischiano di rimanere delusi dall’esito del vertice, nonostante moniti e appelli lanciati nelle scorse settimane dal Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha definito la Cop27 “un test decisivo per ristabilire la fiducia tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo”, parlando di “imperativo morale” e di “necessità di agire”.

Energetici classici, Energie Rinnovabili e Mercati Finanziari

È notizia recente la produzione di utili record per i big dell’energia: si parla di 60 miliardi di dollari in tre mesi. Nel discorso del Presidente Usa alla Casa Bianca il 31 ottobre scorso, sono stati stigmatizzati i profitti record degli ultimi mesi di sei delle maggiori compagnie petrolifere mondiali. Se consideriamo le prime cinque per fatturato e gli ultimi dati trimestrali, gli utili tra giugno e settembre sfiorano i 60 miliardi.

Dai minimi del marzo 2020 la domanda di energia è stata costantemente rivista al rialzo dagli analisti di settore.

Quello che è poco percepito è che la stessa transizione energetica verso una carbon neutral economy è anch’essa un fattore alla base della tightness e dell’incrementata volatilità dei mercati energetici.

La transizione energetica chiaramente porterà importantissimi benefici quando saranno raggiunti i target di decarbonizzazione tuttavia nel breve e medio termine è una forza rialzista per oil, gas ed elettricità. Questo deriva dalle caratteristiche peculiare di questa transizione che è contemporaneamente una transizione di sostituzione e di addizione (nuovi investimenti in tecnologie di produzione energetica non soltanto per soddisfare la crescita della domanda ma anche per sostituire gran parte delle tecnologie produttive esistenti con l’obiettivo di ridurre le emissioni) ed ha tendenzialmente bisogno di prezzi finali più alti per incentivare gli investimenti. È infatti una transizione che, allo stato attuale e per un certo periodo di tempo, riduce l’efficienza del capitale investito nel settore, in quanto questi nuovi investimenti hanno un capex per unità di output 2/3 volte più alto.

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