Stiamo assistendo, in questi primi giorni di attività del Governo Meloni, ad un dibattito politico quanto mai avvilente: da destra e da sinistra.
Innanzitutto c’è da notare che le parti in commedia non coincidono con gli schieramenti politici che io riesco a immaginare.
Il PD, che politicamente minaccia di riproporre la sciagurata alleanza col M5S, segue una sua linea di opposizione diversissima da quella dei grillini (se possono ancora definirsi così). Sinistra e Verdi di Bonelli e Fratoianni vanno per i fatti loro, non sempre comprensibili (ai miei limitati occhi, ovviamente). Il M5S segue non una linea, ma una strada tortuosa, ambigua e incomprensibile, districandosi tra l’anima destrorsa e quella sinistrorsa del Movimento; e con l’agitazione dei percettori del reddito di cittadinanza, che sono stati la spina dorsale dell’elettorato.
Calenda e Renzi – sempre con minori diversificazioni tra di loro – provano ad apparire equilibrati e pragmatisti. Probabilmente potrebbe aprirsi per loro qualche spazio nella legislatura se Salvini, nelle sue ripetute fughe in avanti, imponesse qualche atto troppo “di destra” per la coalizione di centrodestra, preoccupatissima di mostrare urbe et orbi la sua democraticità.
È un fatto che alle iniziative Salviniane prontamente risponde Forza Italia: come nella vicenda del raduno rave di Modena, che Salvini ha voluto assolutamente fosse un caso e che ha provocato il primo intervento del viceministro della Giustizia, il forzista On. Francesco Paolo Sisto: costretto a commentare che le frettolose norme di un decreto legge, possono essere cambiate e migliorate.
Fatti che danno ragione ad Ilario Ammendolia (su Il Dubbio, primo novembre 2022), la Destra fa la “Destra” è la Sinistra che non fa la “Sinistra”: dal suo punto di vista la certezza che la destra non avrebbe proposto soluzioni liberali e garantiste, ma sarebbe intervenuta subito sull’ordine pubblico con leggi restrittive; la delusione per una sinistra che annaspa confusa.
Il punto è che, essendo la linea politica economica dettata da una contingenza che non ammette deviazioni, ecco che entrambi gli schieramenti non sanno bene su cosa caratterizzare le differenze: non sulle azioni, ma sul modus, con prese di posizioni attorno ad episodi assurti ad un simbolismo che non hanno.
La Destra, quindi, per qualificare la sua azione politica, anziché puntare sul liberalismo – che dopo le imposizioni soprattutto dei due governi Conte sarebbe stato accolto con favore dalla maggior parte della popolazione – o su una immediata riforma fiscale, incentrata soprattutto sulla semplificazione e sull’abolizione delle squilibrate presunzioni di mala fede a favore dell’erario (non credo sia possibile una reale riduzione del nostro carico fiscale, per quanto incredibilmente alto), sta puntando sull’argomento più facile e più di pancia, per la parte più classica del suo elettorale tradizionale.
Mi riferisco alle promesse di severità, di carcere, di buttiamo la chiave: che sarebbero slogan sgraziati, incolti e da subcultura, se rimanessero tali, ma che rischiano di diventare pericolose mine sociali.
Così il carcere dovrebbe essere una sanzione eccezionale, non la nostra vergognosa realtà: il “tintinnio di manette” che dal 1992 i nostri inquirenti fanno sentire per ricavare qualche informazione in più (allora reintroduciamo la tortura!) o la barbara galera che sempre più spesso conduce al suicidio.
Sul vivere sociale si palesa con iniziative di questo genere il pericolo che avevo paventato all’indomani del successo elettorale di Giorgia Meloni: il fare pensare a frange fanatiche della popolazione italiana di potere contare su un clima loro favorevole.
Una legislazione basata su sanzioni e pene (storicamente dimostratesi inefficaci per la repressione di fenomeni criminali, che vanno combattuti con iniziative politiche) porterebbe all’esatto contrario di ciò che, nella mia opinabile analisi, è il risultato elettorale: una richiesta di “meno Stato”, di una maggiore efficienza e semplicità di rapporti, di una rilevanza per le iniziative private da tutelare, come colonna vera dell’economia italiana.
Il punto è che le chiavi più importanti del sistema di governo sulla materia ordine pubblico non sono in possesso della Presidente Giorgia Meloni, non riesco a capire se consapevolmente – quindi con un fine che mi sfugge – o casualmente.
Il rischio che io vedo, riconnettendo alla Presidente la buona fede ed onestà della sue dichiarazioni ed una convinta adesione al sistema Nato-UE, è la possibilità che si crei un duplice binario: uno Stato democratico e liberale in politica estera (ed economica); una intolleranza assoluta e un accentuarsi del giustizialismo nelle vicende interne.
Con l’incognita della delicatissima questione dei salvataggi in mare che non possono essere messi in discussione e sui quali si gioca l’immagine del nostro essere civili: prevarrà l’approccio diplomatico – come sembrerebbero attestare in questi giorni le iniziative verso la Germania del Ministero degli Esteri – o i proclami di Salvini?
Su questi temi si gioca anche la pace sociale, laddove – mi sembra storicamente assodato – l’intolleranza assoluta è il metodo migliore per creare un clima violento.
La contestazione di una trentina di studenti all’Università La Sapienza di Roma, in merito ad un convegno con la partecipazione di Capezzone mi sembrava un fatto irrilevante. In quegli stessi spazi avevo vissuto (da repubblicano: ahimè ero moderato anche a vent’anni!) l’immediato post Sessantotto alla Sapienza: il fronteggiarsi giornaliero nel Piazzale della Minerva, proprio sotto il Palazzo del Rettorato, di una destra e di una sinistra, vi giuro, numerose e terrificanti.
L’eccesso di violenza nell’intervento della polizia lamentato da una parte; la violenza dei contestatori di Capezzone denunciata dall’altra, sono la riprova del pericolo da me paventato: di tutto abbiamo bisogno in Italia, salvo che di una escalation del conflitto sociale.
Il governo Meloni ha le carte in mano: e credo che su questo, sulla pace sociale, si valuterà il suo successo.