“Se sei d’accordo, metti like”. Si tratta di una colla a presa rapida e dall’altissimo dividendo, sia in termini di consenso politico che di business. Basti per esempio pensare, come raccontava un whistleblower di una nota piattaforma, che l’intero modello di business dei social media si basa su questo semplice quanto potente meccanismo: polarizzare, ovvero dividere per moltiplicare.
Così, se da un lato un recente sondaggio ha rilevato come una persona su tre dichiari che l’uso dei social media abbia abbassato la tolleranza nei confronti di coloro con punti di vista opposti ai propri, più in generale il numero di persone alla ricerca attiva di punti di vista diversi è crollato, solo in America, del 30%. Nel frattempo, il giro d’affari delle piattaforme social, valutato in 193 miliardi di dollari nel 2019, è atteso sfiorare i 940 miliardi di dollari nel 2026.
Me contro te
Jennifer McCoy, politologa della Georgia State University, è scesa nel dettaglio nel corso di una intervista con il sito The Conversation. In breve, spiega, se la narrazione gira intorno al “me contro te”, tenderò a identificarmi con chi promette di difendermi.
Non è un caso che i paesi nei quali è più facile giocare questa partita, ovvero dove è più facile sventolare il pericolo del diverso come minaccia esistenziale, siano quelli dove creare il nemico è molto semplice.
Non è un caso, quindi, che società multietniche come quelle di Stati Uniti, Brasile e India siano le più polarizzate al mondo. Naturalmente, esistono delle eccezioni che confermano come sia la qualità del tessuto sociale a fare la differenza.
Quali soluzioni?
Secondo la ricerca, i popoli ritrovano uno spirito comune dopo grandi traumi collettivi, in gergo “interruzioni sistemiche”, come una guerra. Secondo altri, invece, non è possibile tornare indietro. Si può solo provare a gestire.
Tra questi c’è Robert Talisse, filosofo politico presso la Vanderbilt University, il quale invita a lavorare su due fronti. Il primo riguarda la necessità di riscoprire spazi pubblici di aggregazione non politica. Il secondo riguarda la necessità di ripartire da noi stessi, ovvero riscoprire il momento della riflessione individuale, come per esempio prendersi il tempo di leggere un libro per allenare il pensiero critico.
Infine, per chiudere come abbiamo iniziato, bisognerebbe ripensare i modelli di business di media e dei social media semplicemente perché la monetizzazione non può andare a scapito della salute mentale collettiva nel puro interesse economico di pochissimi. È una questione morale, prima che etica.