Bombe, spari e auto incendiate. È di nuovo emergenza criminalità a Torre Annunziata in provincia di Napoli, dove da diverse settimane a questa parte sono stati posti in essere diversi atti intimidatori ai danni di esercizi commerciali.
La risposta dello Stato, fatta di perquisizioni e controlli stradali, non si è fatta attendere. E anche la società civile si è mossa con riunioni e incontri di vario genere.
Tra le iniziative che hanno maggiormente colpito l’opinione pubblica locale spicca “la Marcia del silenzio”, organizzata da varie realtà associative e sociali dell’hinterland che hanno pensato bene di unirsi per collaborare alla individuazioni delle soluzioni più idonee per riportare la serenità tra i cittadini.
Ne abbiamo parlato con Nello Collaro dell’associazione “La Fenice vulcanica” che è uno dei soggetti promotori della mobilitazione in questione.
Perché avete pensato di promuovere una marcia del silenzio?
“Abbiamo pensato di contrapporre il silenzio ai boati delle bombe. Il nostro, però, ci tengo a ribadirlo, non è un silenzio di rassegnazione, ma di indignazione”.
Come si può fermare la recrudescenza della camorra in città?
“La risposta immediata l’hanno data le forze dell’ordine, ponendo in essere grandi operazioni di controllo del territorio. La presenza degli uomini e delle donne in divisa è, senza dubbio, un elemento importante che aumenta la percezione di sicurezza da parte dei cittadini ma, da sola, non basta”.
In che senso?
“Nel senso che bisogna andare oltre per arrivare ad elaborare una strategia di medio – lungo periodo che si affianchi all’attività delle forze dell’ordine ed alla sorveglianza del territorio attraverso le telecamere”.
A cosa si riferisce in particolare?
“Le domande che ci dovremmo porre sono le seguenti: i servizi sociali come sono organizzati sul territorio? Hanno risorse sufficienti a garantire il supporto necessario alle famiglie che vivono in condizioni di forte disagio? Non bisogna, infatti, trascurare il fatto che la manovalanza della camorra è composta da persone che vivono in queste realtà. Senza dimenticare i più piccoli. E qui dobbiamo chiamare in causa le scuole del territorio e verificare, al di là della buona volontà di dirigenti scolastici, docenti e collaboratori, quali iniziative si possono intraprendere nelle ore pomeridiane, in modo da strappare bambini e adolescenti alle mire dei clan. Non bisogna essere esperti di diritto per capire l’apporto fondamentale che i minori non imputabili possono dare alle organizzazioni criminali…”.