Sopitosi il clamore delle elezioni politiche e dopo un paio di discussioni dedicate alla effettiva perseguibilità del programma elettorale proposto dalla coalizione vincente, Kurt il marziano mi ha domandato cosa farei per far funzionare meglio la macchina della giustizia se dovessi vestire i panni del ministro competente.
Gli ho risposto che mi ispirerei a Jacques Vergès e al suo museo delle cere dell’ingiustizia, come raccolta nel volume “gli errori giudiziari” (2011), che – seppur vecchio di oltre 10 anni e riferito all’ordinamento francese – contiene intuizioni applicabili verso ogni giudice e verso ogni giudizio.
Ricorda Vergès che qualunque sistema di giustizia e qualunque status si voglia conferire conferire ai giudici che l’amministrano deve essere sempre e comunque finalizzato ad evitare quel genere di sbagli: “gli errori giudiziari sono più numerosi di quanto si pensi. L’errore giudiziario riuscito è come un invisibile delitto perfetto. L’innocente ha un bel gridare, nessuno gli crederà.”
Kurt ha voluto allora sapere come mai – vista la delicatezza della funzione giudiziale – non si muniscano i giudici di una sorta di responsabilità “rafforzata” rispetto a quella degli altri operatori pubblici, ma a quel punto ho deciso di non impelagarmi in una discussione che ci avrebbe portato troppo lontano e mi sono limitato a rispondere seccamente che un fatto del genere non avverrà mai, almeno fino a che la politica non avrà ripreso il ruolo preminente che aveva avuto fino alla fine degli anni ’80.
Ho anche erudito il Marziano sulle presunti basi costituzionali dell’attuale regime, fondato sulla irresponsabilità dei giudici (o meglio dei magistrati nel loro complesso, perché anche i pubblici accusatori – che non possono certo definirsi giudici – godono del regime derogatorio di questi ultimi), anche se le norme interposte dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo nella nostra Costituzione potrebbero far credere che sia giunto il tempo di superare le interpretazioni tradizionali in modo tale che non si abbia a ripetere la paradossale situazione per cui, quando un giudice italiano applica norme nazionali egli è sempre e comunque irresponsabile dei propri errori, ma non altrettanto avviene quando la norma di riferimento abbia derivazione eurounitaria.
Sono d’altronde sempre più convinto che – senza l’introduzione di strumenti idonei a rendere i giudici più accorti quando esercitano il loro mestiere – dovremmo dar ragione ad Alphonse Bertillon (Antropometria giudiziaria, Parigi 1870), quando scriveva dei “ casi in cui i giudici non cercano la verità, bensì circa con tutti i mezzi (compresi i più disonesti) di stabilire la colpevolezza dei sospettati. Contro questi comportamenti gli innocenti possono solamente far ricorso a mezzi mediatici”, cioè a quella strategia di rottura del sistema di cui talvolta parlano le cronache.
Sembrava che Kurt non avesse argomenti per controbattere a queste mie affermazioni, invece dopo una breve pausa di riflessione, mi ha domandato come mai il problema della irresponsabilità dei giudici si ponga solo nel nostro Paese, visto che in tutto il mondo occidentale si ricercano strumenti capaci di contemperare la responsabilità con l’indipendenza dei giudici stessi.
Sono rimasto silenzioso di fronte a quest’ultima domanda: non volevo dirgli che qui da noi il problema si pone perché le cronache giudiziarie ci costringono a dubitare sempre più spesso della preparazione e dell’onestà di chi deve giudicarci.