“Qui la situazione è molto tesa, sono arrivati i gruppi di Al Shabab e sembra che oggi abbiano fatto una strage e tutto il popolo sta scappando, il popolo va via… è una tristezza, tutto il popolo se ne va: professori, infermieri, alunni, tutti lasciano. Speriamo che il Signore protegga noi e protegga questo popolo”. Sono queste le ultime parole pronunciate al telefono a una nipote da suor Maria De Coppi, missionaria comboniana uccisa nella notte tra il 6 e il 7 settembre a Chipene, in Mozambico, probabilmente per mano di islamisti provenienti dalla regione settentrionale di Cabo Delgado. Una donna che ha donato tutta la sua vita all’Africa, decidendo di rimanere, dal lontano 1963, nella periferia del mondo, vicino ai poveri, cercando davvero di aiutarli a “casa loro”. E in tutti questi anni, assieme alle sue consorelle e ai suoi confratelli, ha rischiato la vita più volte, soprattutto durante la guerra civile che insanguinò il Paese dal 1975 al 1992, restando coraggiosamente per non abbandonare quelle povere popolazioni.
Vittima di una delle tante “guerre dimenticate” da media
“Una lezione di vita quella di suor Maria – scrive sul suo FB Padre Giulio Albanese, anch’egli missionario comboniano e tra i più accreditati africanisti della Cei -, che giustamente lamentava la disattenzione della stampa nostrana rispetto al conflitto che si combatte dall’ottobre del 2017 nel Nord del Mozambico. Pare certo che il raid perpetrato a Chipene sia di matrice jihadista. Non sarebbe affatto una sorpresa, considerando che recentemente queste formazioni hanno raggiunto addirittura la zona di Nampula. Si tratta di una delle tante ‘guerre dimenticate’, quelle che solitamente in Italia non fanno notizia, ma che costano la vita a un numero indicibile di civili”. Tanto sono vere queste parole di Padre Giulio, che è possibile verificarne la fondatezza nel fatto stesso che alla morte di questa eroica donna sono state dedicate solo poche righe. Sicuramente se non si fosse trattato di una suora ma di un volontario o una volontaria civile si sarebbe scatenata una ben diversa eco.
Un Paese impoverito dai potentati stranieri
“Il paradosso di cui suor Maria è stata testimone – prosegue a spiegare il missionario – in questi anni è rintracciabile nella contrapposizione tra gli estremi: ricchezza e povertà. Il Mozambico è ricco di gas, per non parlare dell’oro, della grafite, del titanio e della bauxite. Un Paese, dunque, ostaggio di potentati stranieri d’ogni genere, il cui intento è quello di conseguire la massimizzazione del profitto o la destabilizzazione della regione come fanno gli islamisti. Ecco perché il sacrificio di questa missionaria è una profezia per dare voce a chi voce non ne ha”. E di questo dobbiamo ricordarci quando guardiamo con insofferenza i “viaggi della speranza” nel Mediterraneo. La colpa è nostra, che sfruttiamo quei Paesi e non permettiamo loro di avere uno sviluppo equo e solidale a “casa loro”.