martedì, 17 Dicembre, 2024
Attualità

L’umanità politica del primo e ultimo riformatore russo

Non è mia intenzione ripercorrere l’operato politico dell’ultimo Segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica Mikhail Gorbaciov, dal 1985 al 1991: dunque, di fatto ultimo leader dell’URSS. Non intendo farlo perché il corso della sua carriera politica è legata indissolubilmente ad un profilo umano, caratterizzato da una vena visceralmente popolare. Ed ora che è morto a 91 anni, una delle figure più significative eppure controverse del secolo scorso – seppellito nel cimitero Novodevichy a Mosca, vicino alla moglie Raissa, venuta a mancare nel 1999 per una leucemia – non avrà diritto (a meno di ripensamenti dell’ultimo istante del Cremlino) ai funerali di Stato.

I TRATTI UMANI DEL LEADER

Sua moglie fu identificata come first lady – fatto assai desueto al di fuori della concezione anglosassone e particolarmente nei paesi del blocco comunista – studiosa di filosofia e grande confidente, molto ascoltata, dal compagno – fatto questo invece non poi così raro, in tutti i matrimoni ed i legami dal forte spessore. Un rapporto rimarcato, dal sapore familiarmente e squisitamente pop, dalla commozione di Gorbaciov all’ascolto di “Dicitencello vuje”: la canzone preferita della moglie, come ammise lui stesso, ospite di Maurizio Costanzo in seguito alla morte di Raissa avvenuta poco tempo prima.

LA SOSTANZA DELLE RIFORME

Non è possibile dunque – questo a mio avviso il lato più interessante e particolare della figura del leader comunista – scindere gli aspetti politici da quelli umani nella storia che definisce il suo cammino, almeno formalmente; non lo è perché il capo politico è rappresentato al contempo dalla sostanza della Medaglia Otto Hahn per la pace 1989 e dal Nobel per la pace 1990. Ed anche da quella della Glasnost e della Perestroika, espressioni russe entrate a far parte del gergo comune di tutto il mondo, senza necessità di traduzione.

IL CAMBIAMENTO DEL SISTEMA

Questi i due termini, all’apice di un sistema differente, che significano letteralmente e rispettivamente trasparenza e ristrutturazione. E che significheranno nei fatti e nelle rispettive evoluzioni sostanziali, libertà di espressione e di stampa e nel secondo caso sinonimo di riforme e democratizzazione. Un’ipotesi di rinnovamento, la Perestroika, che si propose però di non rinnegare i valori fondamentali e strutturali della società sovietica; in quell’URSS che in seguito a tale ristrutturazione così radicale, si dissolse e si disgregò in appena un quinquennio.

LA DISSOLUZIONE FATALE FINO AD OGGI

Un crollo, quello della Glasnost, che comportò insieme al fallimento della Perestroika anche l’annullamento di tutte le conquiste fatte da Gorbaciov in tal senso e l’avvento di una politica – quella attuale – del tutto contraria e difforme rispetto alla sua, così aperta al mondo occidentale. All’inizio del suo insediamento nel 1985, durante una vacanza estiva sulle rive del mar Nero, passeggiava con il suo ministro degli Esteri Eduard Shevardnadze – ne uscì una riflessione, un pensiero comune: “Tak zhit nilzjà”, Così non si può vivere. Infatti senza il giogo di Stalin, e dopo la sconfitta in Afghanistan ed il crollo del prezzo del petrolio, l’Unione Sovietica aveva perduto al tempo il senso della realtà e la voglia di fare e di progredire. Lo stesso senso che ad oggi sembra smarrito, perché forse anche adesso, in questa nuova dimensione, allora così lontana e sconosciuta, ancora Non si può vivere.

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