Un anno fa, di questi tempi, Di Maio governava con Salvini da circa 5 mesi. Ciascuno continuava a promettere ai propri elettori quello che aveva predicato in campagna elettorale. Entrambi polemizzavano giorno e notte contro l’Europa “cattiva”, mentre il paziente e valoroso Ministro Tria, che sapeva incassare e mantenere il filo del dialogo con Bruxelles, cercava di resistere alle richieste smodate dei due e di evitare il dissesto dei conti pubblici.
Salvini galoppava sul cavallo di battaglia dell’immigrazione clandestina e Di Maio gli stava dietro, salvandolo anche da un processo che avrebbe potuto segnare la fine della carriera politica del leader leghista.
Di Maio insisteva sui temi del giustizialismo e si accontentava di bilanciare quota 100 concessa alla Lega con una striminzita edizione del reddito di cittadinanza.
“Abbiamo fatto Bingo” aveva esclamato di gioia la senatrice dei 5S Paola Taverna quando si era costituito il governo gialloverde. Ma i dati elettorali delle europee hanno dimostrato che il Bingo lo aveva fatto Salvini: lui ha raddoppiato i voti, i 5S li hanno dimezzati…
La strategia di Di Maio di totale acquiescenza a Salvini, nonostante il giustizialismo e il reddito di cittadinanza, aveva finito per portare acqua al mulino leghista prosciugando il serbatoio elettorale dei 5S.
In qualunque partito, dopo una sconfitta così eclatante, il leader sarebbe stato messo sotto accusa e sostituito. Nel Movimento fondato da Grillo questo non è avvenuto. Di Maio, rimasto in sella, avrebbe continuato su questa strada perdente se non fosse stato Salvini a staccare la spina a Conte per fare il colpaccio: andare alle elezioni vincerle e governare da solo (“i pieni poteri”).
La crisi di mezza estate ha spiazzato Di Maio che, però, si è visto scavalcato da Giuseppe Conte nel ruolo di grande accusatore per il “tradimento” di Salvini. Salvini, quando ha capito che Mattarella non avrebbe concesso a cuor leggero le elezioni anticipate e che si sarebbe formato un governo con il PD, ha fatto “la migliore offerta” possibile a Di Maio: torniamo insieme, sbarazzati di Conte e farai tu il Presidente del Consiglio. Di Maio avrebbe volentieri accettato, se non fosse intervenuto Grillo a imporre il governo con Zingaretti.
Di Maio ha dovuto piegare la testa, rinunciando alle rosee e avvelenate promesse leghiste, perdendo il ruolo di vicepresidente del Consiglio e abbandonando un ministero. Da allora il “capo politico” dei 5 stelle ha impostato una coabitazione col Pd a dir poco squinternata. Ha accettato di sostenere il candidato del Pd in Umbria, sapendo che sarebbe stato sconfitto e subito dopo ha aperto una guerriglia continua contro il PD e contro Conte, considerato e trattato come un usurpatore.
Che calcoli ha in mente il giovane “capo” dei 5 stelle? Sarebbe facile ritenere che stia ripensando all’offerta di Salvini: torniamo insieme e tu vai a Palazzo Chigi. Può darsi. Ma questo non spiega del tutto il suo continuo creare inciampi contro Conte e il Pd e comunque si basa su un calcolo sbagliato.
Se il governo Conte si dimette, non c’è un altro governo ma ci sono solo le elezioni. Quindi Salvini può promettere quello che vuole ma Di Maio a Palazzo Chigi non ci va perché si torna alle urne. E siccome alle elezioni con questa legge elettorale la Lega e Fratelli d’Italia prenderebbero il 51% dei seggi, Salvini non avrebbe non avrebbe più bisogno di Di Maio.
E allora qual è un altro possibile calcolo di Di Maio?
Può darsi che Di Maio pensi che facendo “ammuina” dentro la maggioranza riesca ad avere visibilità maggiore e a tenere unito un movimento che è ormai dilaniato da lotte intestine che farebbero impallidire la DC degli anni peggiori. Sono 3 mesi che i 5S non riescono ad eleggere il capogruppo alla Camera… Ma Di Maio ha scelto proprio il tema della critica all’Europa per riprendersi la scena. E su questa materia non fa altro che tirare la volata a Salvini, esattamente come ha già fatto l’anno scorso con il risultato di perdere metà dei voti.
Ma c’è di più. Dopo l’autogol in Umbria, Di Maio, con la complicità di Rousseau-Casaleggio e la contrarietà di Grillo, ha imposto la linea di presentare candidati dei 5S, che faranno perdere al Pd la possibilità di conquistare alcune Regioni.
Quindi Di Maio vuol far perdere voti al Pd e mettere a rischio il Governo? E cosa ci guadagna? Se dopo il tracollo elettorale alle europee, dopo la fine del governo gialloverde, dovesse andare in crisi anche il governo giallo rosso questo significherebbe che la strategia di Di Maio, nel giro di due anni avrebbe fatto cilecca tre volte di seguito. Quale “capo politico” potrebbe restare al comando dopo tre sonore sconfitte?
Usando la ragione, tutti i calcoli di Di Maio si rivelano sbagliati e perfino autolesionistici. Mentre nella sua mente albergano chissà quali strategie una cosa sola è certa: il Movimento 5 Stelle con questo “capo politico” è allo sbando, non ha una rotta e non ha alcuna minima concordia interna capace di compattarlo di fronte al vero avversario politico, che non è Zingaretti, come pensa di Maio, ma quel Salvini che Di Maio considera ancora come il suo possibile salvatore. Grillo ha capito tutto ma non se la sente di cacciare Di Maio. L’ha inventato lui, non può ammettere di aver preso una colossale cantonata, lo considera come un “figlio” politico e si sa… I figli… so’ piezz ‘e core.