Nella Domenica d’agosto di Luciano Emmer «il trasferimento dell’esperienza neorealistica nella commedia di costume» avviene nel 1950 – nel dopoguerra, nel clima ruvido della Roma più genuina, che necessita forse come mai prima di grande leggerezza: rappresentata dall’estate, dalle vicende sentimentali che si intrecciano tra la capitale e il lido di Ostia. All’epoca i detrattori ed esclusivi sostenitori del cinema impegnato civilmente e politicamente, definirono il film il principio del vituperato neorealismo rosa – come se i fatti umani, anzi la realtà dei fatti confacente appunto al significato più viscerale di neorealismo, attenessero soltanto ad una sorta di maieutica funzione moralistica, senza rappresentare tutta la vasta complessità dello spettro psicologico ed emotivo dell’individuo.
IL SOGGETTO CHE DOMINI L’OGGETTO
E sarebbe delittuoso ad oggi ostacolare e stigmatizzare il valore della leggerezza. La leggerezza che non sta in superficie: si acquisisce conoscendone il peso, soppesandone meticolosamente l’importanza. Perché l’impegno s’addensi di etica infatti, è necessario portarlo avanti con allegria; con la leggerezza ed il distacco necessari a far sì che l’oggetto dell’impegno non superi mai il soggetto individuale che lo muove; che siamo sempre noi a trascinare un ideale, a lottare per un obiettivo – e che non siano mai le ideologie, i pregiudizi ideologici, le cose in quanto tali a muoverci e dominarci.
PESI E LEGGEREZZE
Eppure il rischio resta sempre alto. E ce ne rendiamo conto ogni giorno. Qualcuno disse “Noi siamo quello per cui lottiamo”. Ma – aggiungo – non siamo la lotta in sé: siamo ricchi e pieni di tutto il resto – della quotidianità che la lotta non racconta, di quel peggio di noi che ci rende possibile mostrare e lottare per tutto il meglio. Siamo fatti in sostanza di pesi e di leggerezze, della loro inesauribile commistione, che ci riduce e ci espande come un perfetto marchingegno; e ci riempie lo spirito di possibile.