Il Governo Draghi è finito: un po’ misteriosamente, un po’ improvvisamente come era cominciato.
Con un mandato, fino alle nuove elezioni ed all’insediamento di un nuovo governo, di curare gli “affari ordinari” un po’ meno ordinario dell’usuale, ritenuto che il Presidente Mattarella ha indicato alcuni argomenti “speciali” da trattare comunque.
Lo stile della fine del Governo è lo stesso della sua azione decisionista: agire incurante dell’inutile beccarsi dei partiti che formavano la sua coalizione.
Così le dimissioni sono arrivate non per una sfiducia, ma perché era venuto meno il presupposto non dichiarato sul quale il Governo era sorto: governerò fino a quando i Partiti non vorranno costringermi a trattare con loro. Ed il Presidente Mattarella ha preso atto di ciò ed ha sciolto le Camere: per la prima volta senza un’attestazione notarile dell’impossibilità di trovare una nuova maggioranza e formare un nuovo Governo, senza alcun mandato esplorativo al Presidente di uno dei due rami del Parlamento.
È stato inutile così l’estremo bizantinismo pentastellato, l’antipolitica più politicante che si potesse immaginare: ritirare la fiducia, senza ritirare i ministri; restare in aula al Senato senza votare, all’unico scopo di non far mancare il numero legale e di fare comunque avere la fiducia (ma con soli 94 voti su 330).
La fine del Governo è stata nello stile del Governo.
Il rito della crisi è stato così consumato in pochissimi giorni, e non nei mesi che sarebbero serviti ad un esecutivo tradizionale; le elezioni sono state indette per il 25 settembre, la prima domenica utile dopo il sessantesimo giorno dallo scioglimento delle Camere, rovinando le vacanze ed il sonno dei parlamentari uscenti (certi che più dei due terzi di loro non rimetterà piede in Parlamento) e dei parlamentari aspiranti che contavano su tempi differenti e che devono invece prendere coscienza che entro il 22 agosto si dovranno presentare le liste.
Nessuno dei Partiti, tranne forse FdI è pronto; gli altri devono fare i conti con scissioni passate e recenti, abbandoni avvenuti – clamorosi quelli della Gelmini, Carfagna e Brunetta in Forza Italia – ed abbandoni che avverranno in maniera numerosa e rumorosa: qualsiasi parlamentare che non sarà ricandidato sputerà veleno su quelli che, dal suo punto di vista, lo avranno tradito.
Ma potranno avere problemi anche quelli, come il Ministro Giorgetti, che sia pure con stile hanno manifestato fedeltà a Draghi.
I progetti centristi – compreso quello al momento neppure del tutto ufficializzato di Sala – sono ben al di là dell’essere compiuti e salvo il caso che non si unificano tutti sotto un leader estratto a caso da un bussolotto, non vedranno la luce, ma un confluire in coalizioni disposte ad ospitarne alcuni.
Su tutto il sospetto di ingerenze di politica internazionale, che nasce dall’osservazione svolta da Di Maio – sia pure “in proprio” e non nella qualità di Ministro degli Esteri – che la crisi sia stata causata da quelli che in qualche modo giustificano o sostengono Putin.
Il Governo Draghi lascia molte incompiute; ed incognite tutte da scoprire.
Alcuni – quelli che non volevano le riforme o le volevano solo apparenti (come quella, sempre più impossibile, della Giustizia) – magari gioiranno. Ma proprio quelle riforme erano uno dei presupposti dell’UE per molti dei finanziamenti concessi.
Non si potrà fare una colpa a Draghi, per averli accettati, se tali finanziamenti si tradurranno in un aumento enorme del debito pubblico: perché si deve presumere che il suo governo, se fosse rimasto in carica, avrebbe concluso in qualche modo quelle riforme e lui avrebbe avuto il prestigio ed il modo per contrabbandarle alla UE come rispondenti ai criteri voluti.
Ma non sarei così assolutorio su altri temi, quale ad esempio i crediti fiscali così facilmente concessi. Il Presidente Draghi ha dichiarato nei suoi discorsi di addio che i regolamenti sono stati scritti male, volendo evidenziare la sua non responsabilità.
Ma sarebbe come dire a un mio cliente che un atto giudiziario uscito dal mio Studio Legale e da me firmato era sbagliato: la causa sarebbe comunque persa e la responsabilità comunque mia.
Pure sull’economia ho molte perplessità. Il richiamo alla mia professione mi induce a muovere dall’osservatorio particolare dell’avvocato che si occupa di impresa (40% della mia attività; un altro 40% è sul diritto ambientale). Oggi si fallisce per crediti fiscali o per istanze dei lavoratori (ai quali l’INPS garantisce le ultime tre mensilità e, per intero, il TFR). Non so la soluzione, ma sono certo che non risponde a criteri economici sopprimere imprese e lavoro per debiti che poi sempre sullo Stato finiscono per gravitare: le paghe dei dipendenti; le tasse che la società fallita non pagherà.
Il Governo Draghi è stato troppo incentrato sul prestigio, la credibilità ed il credito internazionale del suo Presidente. Chi verrà non avrà questa posizione privilegiata e corre il rischio che gli venga chiesto il “rientro”.
Una sconfitta, insomma, per tutto il sistema: il Deus ex machina è da più di duemila anni che compare, sistema una situazione, ma altera uno status quo: lascia sempre molte cose da sistemare nuovamente, un nuovo equilibrio da ritrovare.