A giugno guardiamo la pioggia come una sorta di fenomeno paranormale, come fosse sempre la prima volta, soprattutto qui a Roma. Eppure proprio qui la pioggia di giugno arriva quasi sempre prima della metà del mese e sotto forma di diluvio tropicale: con l’umido dell’aria che permane caldo e denso ma sudato, come se l’asfalto fosse pelle, la pelle della città; gli alberi, i pioppi bianchi e i salici, le sue verdi vene con le radici vorticose nel sangue del terriccio, sotto la strada. Ed il fiume le sue lacrime: di gioia e di dolore che versa continuamente e che la pioggia calda del principio d’estate lava, un po’ come fa l’acqua del lavandino che terge il volto dopo aver pianto a lungo.
L’IMPERFEZIONE DELLA BELLEZZA
Ecco a cosa serve la pioggia di giugno a Roma: a pulirle il viso. Il viso sporco, come a una bambina selvaggia che si rotola nel fango e si sbuccia le ginocchia, senza che le vada mai di farsi un bagno se non d’estate: quando bagnarsi è divertente, perché ci si asciuga con il sole e l’acqua ridà equilibrio, non lo altera come succede in inverno.
Non è la città ideale del tema rinascimentale: pulita, perfetta nella sua vasta piazza in prospettiva lineare centrica; benché permanga nei secoli perfetto il suo patrimonio artistico. Ma più di qualcuno ha affermato che la bellezza stia nell’armonia tra le imperfezioni – e quella di Roma ne rappresenta la sostanza in maniera assoluta. L’assolutismo dell’imperfezione in armonia con il tutto che è la sua cifra, con la quale si presenta al mondo.
IL VOLTO DI ROMA
Ecco cosa penso camminando mentre attraverso Piazza dei Santissimi Apostoli e mi rintoccano sulla fronte quelle parole – come le gocce di pioggia che si fanno via via più insistenti – che si dicono ovunque tra social, tg, bar: “Come ci presentiamo al mondo? Cosa penseranno i turisti di noi?”. E’ vero: Roma è sporca, molto sporca, troppo. Ed è anche incolta: l’erba scavalca i guardrail, i cinghiali invadono i quartieri residenziali, i recinti e i rifiuti si ammassano ad ogni angolo di strada e ovunque, dal centro alla periferia. Dovremmo impegnarci – come chi avrebbe più facoltà di noi cittadini – a mantenerla pulita.
Ma per noi, mica per i turisti. Perché che cosa pensa il resto del mondo, dovremmo già saperlo e bello o brutto che sia, dovremmo imparare a metterlo in secondo piano. Roma vive per chi la visita ma soprattutto per chi l’abita: per chi ne è il tessuto connettivo e vitale; per la sua pelle, per le sue vene ed il suo sangue, per le sue lacrime. Ed infine anche per chi ha il privilegio di potersi meravigliare: per chi siamo felici di accogliere, per incrementarne il turismo, per dare una mano e darci una mano. Ma i pensierini di sdegno sul volto offerto al resto del mondo, quelli, qui a Roma, dimenticateveli… e lasciate fa’.