L’articolo dal titolo “Microplastics in the Deep: Comparing Dietary and Plastic Ingestion Data between Two Mediterranean Bathyal Opportunistic Feeder Species, Galeus melastomus, Rafinesque, 1810 and Coelorinchus caelorhincus (Risso, 1810), through Stomach Content Analysis”, rivela una scoperta che emerge da uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Catania, secondo la quale l’inquinamento da microplastiche ha raggiunto la fauna presente nelle profondità marine.
“L’inquinamento da microplastiche rappresenta attualmente una delle principali problematiche per l’ambiente marino, in tutte le acque del mondo – spiega l’ittiologo Francesco Tiralongo -. A tal riguardo, l’analisi dei contenuti stomacali dei pesci rappresenta un ottimo metodo per rilevare inconfutabilmente la presenza di questo inquinante nell’ecosistema marino. Tuttavia, sebbene sia ormai un fenomeno ben noto, i meccanismi che rimangono alla base dell’ingestione di queste piccole particelle plastiche rimane ancora poco noto”.
Per Umberto Scacco dell’Ispra “il lavoro mette in evidenza come sottili differenze nelle strategie alimentari di due specie opportunistiche possano produrre un’ingestione marcatamente diversa delle tipologie di microplastiche ritrovate negli stomaci”.
“Nel lavoro abbiamo confrontato tale ingestione tra un piccolo squalo (come lo squalo boccanera) ed un pesce macruride (ad esempio il Celorinco), entrambi tipici della scarpata continentale ed oltre, nell’ambiente profondo del mar Mediterraneo – aggiunge il ricercatore -. I risultati mostrano come lo squalo, più marcatamente opportunista, ingerisca un’ampia gamma di tipologie di microplastiche in merito a forma, dimensione e colore, sebbene con frequenze molto basse. Differentemente, e sorprendentemente, il piccolo macruride ne ingerisce molte di più e, in particolare, un tipo specifico, i filamenti di colore blu di medie piccole dimensioni. La presenza di policheti negli stomaci, e soprattutto le correlazioni alimentari trovate tra essi e i filamenti, irrobustiscono l’ipotesi che il piccolo pesce vada incontro ad una vera e propria confusione predatoria, scambiando i filamenti per una delle sue prede preferite”.
“La rete trofica marina è un sistema estremamente complesso e mutevole e sono necessari studi mirati e ripetuti per approfondire adeguatamente le nostre conoscenze in merito, conoscenze che possono sicuramente aiutarci a meglio comprendere anche il trasferimento lungo la rete trofica marina di sostanze inquinanti e di conseguenza adottare opportune cautele e strategie, sia in termini di ricerca, sia per quanto riguarda il consumo delle specie commerciali”, conclude l’ittiologo Francesco Tiralongo dell’ateneo catanese.