Rendere la pena “una palestra di coscienza e di responsabilità”. Con questa richiesta, per la prima volta in Senato, detenuti ed ex detenuti del Gruppo della Trasgressione provenienti dalle case di reclusione di Opera-Bollate hanno parlato delle loro esperienze nella devianza e del lungo percorso per uscirne, per cercare di individuare insieme alle istituzioni gli strumenti affinché la detenzione acquisti in pieno la sua funzione rieducativa, per migliorare i rapporti fra genitori detenuti e figli e prevenire le recidive.
Sono reclusi speciali, che appartenevano alla criminalità organizzata ma da cui hanno preso le distanze grazie all’aiuto dello psicologo Angelo Aparo, che da 25 anni collabora con San Vittore. Tra gli obiettivi che persegue è far incontrare gli autori di reati, anche quelli socialmente più riprovevoli, coi cittadini, con le vittime e i loro familiari, con le istituzioni per un percorso “rieducativo” che restituisca ai detenuti la vera libertà. Non a caso l’incontro di oggi è stato intitolato: “Una mappa per la pena – ridurre la libertà per ampliarla”.
Cambiare è possibile se c’è un progetto carcerario
I reclusi di lungo corso che partecipano al suo progetto spiegano ai giovani “finiti dentro” come non fare la loro fine: “L’obbiettivo – ha spiegato Aparo – è far provare ai ragazzi detenuti un viaggio nel futuro. Attraverso chi ci è passato entrano in contatto frontale con quello che potranno diventare se non cambieranno rotta, persone che a 50 anni ne hanno passati 30 in carcere”. Del Gruppo della Trasgressione anche il documentario “Lo Strappo” in cui Aparo, il magistrato Francesco Cajani, il giornalista Carlo Casoli e il criminologo Walter Vannini fanno emergere, intervistando ‘colpevoli’ e vittime, la lacerazione nella vita di chi compie un reato e di chi lo subisce, ma anche la possibilità di ricucire e i mille aghi sottili per farlo. Fortunatamente, infatti, le persone possono cambiare se gli si dà, ad esempio, l’opportunità di reinserirsi nel mondo del lavoro. “Bisogna metterli al centro di una progettualità – ha continuato lo psicologo – attraverso le relazioni umane e la maturazione di un senso di responsabilità”.
Tra i partecipanti in Senato è arrivato anche Adriano Sannino, killer della camorra, più di 30 anni di carcere e ora uno che porta in giro la sua esperienza. “All’inizio mi guardano un po’ così ma poi quando gli spiego che sono stato uno stronzo e poi come sono cambiato, qual è il punto preciso in cui sono cambiato, mi fanno un sacco di domande. Cerco di essere all’altezza di una grande responsabilità”.
Cartabia: “Puntiamo a una pluralità di risposte alla criminalità”
Scopo dell’incontro è stata la richiesta avanzata alla ministra Cartabia “di un centro studi sulla devianza e di prevedere, già subito dopo la prima condanna definitiva, un progetto e un percorso di evoluzione per far sì che le persone detenute diventino cittadini pienamente partecipi della società che hanno offeso”. “Ci stiamo battendo per diversificare le pene, abbiamo fatto una riforma che punta molto su una pluralità di risposte al crimine e continueremo a farlo”, ha risposto la ministra della Giustizia dopo aver a lungo ascoltato le testimonianze. “Allo stesso tempo – ha proseguito – ci stiamo impegnando in queste settime per sviluppare attività di lavoro, riprendere la formazione e potenziare una vita dentro il carcere che non sia aspettare che passi il tempo”, ma “tutto questo, dal lavoro alla salute, dall’igiene ai colloqui, deve essere focalizzato verso un punto ineludibile che è il lavoro su sé stessi. Così si innesca la possibilità di cambiamento”.
Fonte foto: Sara Minelli – Imagoeconomica