La missione sanità del Piano nazionale di Ripresa decolla ma con un problema. Per l’attuazione del
programma ci sono 7 miliardi, ma mancano 40 mila operatori sanitari per rendere attive le strutture. La sanità secondo la visione del Pnrr (nato sotto la spinta dell’emergenza planetaria della pandemia) ha un ruolo prioritario, nel contempo, 7 miliardi sono considerati pochi per l’assunzione di decine di migliaia di medici e infermieri. Tenuto conto che dagli ospedali è in atto una fuga di personale medico e paramedico che difficilmente sarà interrotta in breve tempo. La missione sanità rimane tuttavia un passo nella direzione giusta.
Il Consiglio di Stato da l’ok
A decidere il via libera alla riforma della Sanità del territorio è il Consiglio di Stato che ha nei giorni scorsi dato voto favorevole al decreto: “modelli e standard dell’assistenza territoriale”, che precede l’approdo in Gazzetta Ufficiale. Il Consiglio di Stato si è espresso dopo il confronto in Conferenza Stato-Regioni. Un dibattito sulle scelte da fare che ha registrato per due volte la mancata intesa per la contrarietà della Campania e la relativa decisione del Governo di andare comunque avanti. Un braccio di ferro che si è risolto a favore dell’Esecutivo.
Ridurre le disparità di cure
Interessante leggere le valutazioni del Consiglio di Stato che vede nella “missione” Sanità una riforma innovativa e utile a ridurre quelle disparità nella assistenza dei cittadini. Secondo il Cds il disegno di riforma delinea: “un innovativo modello organizzativo dell’assistenza sanitaria territoriale”, si legge nel documento, “condivisibilmente imperniato su un archetipo antropocentrico, che prevede la rimodulazione dei servizi e delle prestazioni offerte affinché siano il più possibile prossimi all’utente raggiungendolo fino al suo domicilio” funzionale a “fornire risposte operativamente efficaci alla necessità, sempre più avvertita, di costruire una rete assistenziale territoriale che sia alternativa all’ospedale e che sia accessibile a tutti, contrastando le disparità ‘di salute’ determinate dai livelli di reddito ovvero dall’area geografica di appartenenza e promuovendo un sistema sanitario sostenibile in grado di erogare cure di qualità”.
Cure a casa o vicino casa
In sostanza la riforma del Pnrr prevede una novità, di fondamentale importanza. Quella di far partire quelle cure vicino alla casa degli italiani che sono mancate nei mesi più duri della pandemia. I tempi inoltre sono ravvicinati. Il ruolino di marcia prevede un traguardo da raggiungere entro giugno secondo il calendario del Pnrr. È il primo tassello che dà il via libera alla firma sempre entro giugno dei Contratti istituzionali di sviluppo tra il ministero della Salute e le singole Regioni.
A giugno si inizia
Il passaggio ai Contratti di sviluppo istituzionali secondo quanto anticipato dovrebbero essere firmati tutti insieme. Del resto il Pnrr prevede il rispetto di un cronoprogramma. Tradotti in progetti e cifre il risultato atteso sarà l’ok ai bandi per la costruzione di 1.350 case di comunità, del costo di 2 miliardi; la realizzazione di 400 ospedali di comunità, per 1 miliardo; previste 600 centrali operative con una spesa di 300 milioni. Una fetta rilevante dei fondi è dedicata al potenziamento di cure domiciliari per una spesa di 2,7 miliardi e telemedicina per un costo di 1 miliardo.
Nuovo modello di assistenza
Entrando nel merito delle nuove iniziative, va sottolineato che 1.350 Case di comunità, sono strutture dove lavorano medici, infermieri e altri operatori per prime cure e diagnosi, in particolare per i pazienti cronici. Mentre i 400 Ospedali di comunità, svolgeranno una funzione intermedia tra domicilio e ospedale, con la finalità di evitare ricoveri impropri e favorire dimissioni protette
Il problema del personale
Un aspetto sul quale sarà necessario lavorare è il problema delle risorse umane. Come è noto la sanità pubblica ha un crisi di personale. Medici e infermieri che scelgono di andar via, un esodo che ha assunto proporzioni bibliche. Negli ultimi tre anni hanno dato le dimissioni dagli ospedali 23 mila medici.
Un fatto che ora si ripercuote sui servizi sanitari. Il decreto che da il via libera al Piano fissa nel dettaglio per ognuna delle nuove strutture sia la tipologia di prestazioni che il numero minimo e massimo di risorse necessarie per farle lavorare.
Per gli standard previsti nel programma di Sanità territoriale servono da un minimo di 26.550 tra medici, infermieri e altri operatori sanitari a un massimo di 39.800. Una soglia elevata che comporta due ordini di problemi. Dove trovare il personale, che dovrà essere necessariamente formato e preparati, e secondo interrogativo, dove trovare le risorse economiche.
Il problema è doppio perché non solo le risorse stanziate potrebbero non essere sufficienti, ma potrebbe essere complicato trovare il personale.
Il Governo rassicura
L’Esecutivo e il presidente del Consiglio Mario Draghi però assicurano che le risorse ci sono, come ad esempio un 1 miliardo stanziato dalla legge di bilancio dell’anno scorso per il territorio. A questo miliardo si aggiungono 480 milioni per assumere 9.600 infermieri di famiglia. A sottolineare l’impegno del Governo il ministro della Salute Roberto Speranza in un question time alla Camera ha che ha sottolineato che nella prossima manovra di bilancio ci sarà un ulteriore impegno finanziario.
Le reazioni delle Regioni
Ad avere un ruolo importante nella sanità sono le Regioni che comunque temono che le risorse non siano adeguate ad una riforma che appare rivoluzionaria. “Secondo altre stime”, osserva Raffaele Donini che è assessore alla salute dell’Emilia Romagna e coordina i colleghi delle altre Regioni, “per far viaggiare questa riforma servono almeno 2,5 miliardi, quindi manca 1 miliardo. Ma non ne facciamo un problema di cassa piuttosto di programmazione. Per questo chiediamo una attuazione graduale dei nuovi standard”. Tra l’altro Donini ha scritto al presidente delle Regioni Fedriga per segnalare anche che manca la copertura di 3,8 miliardi di spese sostenute per il Covid del 2021 e ne potrebbero servire altri 4 nel 2022.
In campo anche l’Agenas
A sottolineare la necessità di programmare gli interventi è il presidente dell’Agenas Enrico Coscioni: “Dovremo porci il problema di come mai siamo l’unico Paese europeo che fa durare 4-5 anni invece di tre le specializzazioni mediche e non fa lavorare anche chi è solo laureato in Medicina”.
Il ruolo degli infermieri
La necessità di assumere gli infermieri è ribadita dalla presidente di Fnopi (Ordini degli infermieri) Barbara Mangiacavalli che segnala come “manchino gli infermieri di famiglia da assumere, dei 9.600 previsti già nel 2020 ne sono stati trovati un terzo. C’è un problema di attrattività della professione che comincia dalle iscrizioni universitarie: bisogna lavorare su carriera e contratti più valorizzanti e nell’immediato studiare misure come la libera professione intramoenia per gli infermieri”.