Carenza di personale, scarsa trasparenza nell’utilizzo delle risorse da parte delle Regioni e mancato rispetto dei diritti dei medici sono, ancora una volta, alla base del cronico problema delle liste d’attesa, in queste settimane ulteriormente riacutizzato dalla necessità di recuperare le prestazioni saltate a causa della pandemia. La Federazione CIMO-FESMED (il sindacato dei medici dipendenti del SSN cui aderiscono CIMO, FESMED, ANPO-ASCOTI e CIMOP) ha analizzato il tema tra i più sofferti dai pazienti e probabilmente tra i più complessi in sanità e ha presentato cinque proposte per affrontarlo.
Assumere, assumere, assumere: la lunghezza – inaccettabile e pericolosa per la salute dei pazienti – delle liste di attesa è anche causata dalla carenza di personale. Se ci sono meno medici, si potranno offrire meno prestazioni. La parola d’ordine, allora, deve essere assumere: superare il tetto di spesa del personale; assumere gli specializzandi agli ultimi anni di formazione nell’attesa che l’aumento delle borse di studio produca i suoi effetti; stabilizzare a tempo indeterminato il personale assunto nel corso dell’emergenza; rendere nuovamente attrattivo lavorare negli ospedali pubblici attraverso stipendi adeguati, migliori condizioni di lavoro e reali prospettive di carriera per frenare la fuga dei medici dal SSN che, altrimenti, non farà che peggiorare ulteriormente il problema delle liste d’attesa.
Applicare gli incentivi alla produttività aggiuntiva: il Governo ha previsto un aumento della retribuzione (da 60 a 80 euro lordi l’ora) per i medici che aderiscono volontariamente all’istituto della produttività aggiuntiva ai fini dell’abbattimento delle liste d’attesa, lavorando oltre le 38 ore settimanali previste dal contratto. Tuttavia, da un’indagine condotta da CIMO Lab lo scorso novembre è emerso che solo 7 Regioni applicavano la tariffa degli 80 euro. Puntare sul territorio: gli ospedali dovrebbero essere riservati alle prestazioni complesse; il resto andrebbe affidato alle Asl e agli specialisti ambulatoriali. Come richiesto questa mattina dal Segretario nazionale del Sumai Antonio Magi, ci sono medici che firmano contratti con le Asl per poche ore a settimana. Nella Regione Lazio, ad esempio, la media sono 20 ore: basterebbe portare tutti a 38 ore e sarebbe come assumere il doppio del personale, dimezzando le liste d’attesa.
Maggiore trasparenza nell’utilizzo delle risorse: il Ministro della Salute Roberto Speranza è riuscito a stanziare complessivamente un miliardo di euro per abbattere le liste d’attesa. Tuttavia, risulta estremamente complicato – come denunciato anche da Cittadinanzattiva – monitorare i flussi di tali risorse una volta arrivate alle Regioni. Quel che è certo è che in molte aziende non se ne vede ancora l’ombra: è fondamentale allora ridurre i tempi che intercorrono tra l’entrata in vigore dei provvedimenti che stanziano le risorse e l’effettiva possibilità di utilizzarle, obbligando al contempo Regioni e Aziende a pubblicare le finalità di ciascuna spesa e i risultati ottenuti in termini di riduzione dei tempi d’attesa.
L’intramoenia è un aiuto, non una causa: da più parti l’intramoenia viene ancora additata come la causa delle liste d’attesa. Niente di più sbagliato. Ricordiamo infatti che le prestazioni rese in intramoenia sono rese al di fuori dell’orario di lavoro, e rappresentano dunque un ampliamento dell’offerta sanitaria che contribuisce alla riduzione delle liste d’attesa. Inoltre, se i tempi di attesa massimi previsti dal Piano nazionale di governo delle liste d’attesa non vengono rispettati, i pazienti hanno il diritto di ottenere la prestazione richiesta in intramoenia pagando solo il costo del ticket: una disposizione che puntualmente non viene rispettata a causa dei maggiori costi che ricadrebbero sulle Aziende. Obbligare le Aziende ad applicare tale norma garantirebbe benefici immediati a medici e pazienti.
“Siamo ben consapevoli come non ci siano soluzioni semplici a problemi cronici e difficili come quello delle liste d’attesa – dichiara Guido Quici, Presidente del sindacato CIMO-FESMED -. Le cause sono numerose e difformi tra Regione e Regione, tra Azienda e Azienda; tuttavia, è possibile ravvisare alcune criticità comuni sul territorio nazionale, che è dunque prioritario risolvere.
Spesso si dimenticano infatti le ricadute che queste hanno sulla salute dei pazienti: un rischio che non si può correre, a maggior ragione quando sono milioni le visite, gli interventi e gli screening rimandati a causa del Covid-19”.
Fonte foto: federazionecimofesmed.it